In sala degustazione (qui a fianco vedete le favolose praline di Vernaccia, solo cacao e vino senza panna o burro, di Concad’oro, davvero notevoli) molti blogger e pienone di giornalisti e appassionati quindi tra poche ore su forum, blog e siti vari troverete molti commenti sui singoli vini presenti questo pomeriggio. Riporto quindi una mia impressione generale e qualche colpo di fulmine di sala tra gli assaggi. Innanzitutto possiamo dire che se la Vernaccia ha qualche problema da risolvere non è certo quello della qualità. Nel senso che la stragrande maggioranza dei vini presentati (soprattutto 2007, giudicare a pieno il 2008 non era facile) sono vini pulitissimi, netti e spesso con profumi centrati e molto tipici della varietà. E quindi floreale bianco, sambuco, glicine, pesca bianca, un tropicale leggero e un bel finale ammandorlato, condito spesso con zafferano e speziatura “calda”. Gusto a volte nervoso ma sembre vibrante con acidità che lotta bene con la mineralità a dare un vino immediato beverino ma che lascia non poche soddisfazioni, e che esce finalmente dalla definizione di “vinello” toscano da antipasto…
Una gamma di profumi messa ancora meglio in evidenza al mattino grazie al bel confronto con la Marsanne e la Roussanne dei vini dell’Hermitage AOC e del Saint Peray AOC (di nuovo bravo a Gianni Fabrizio che ha scelto i vini). E soprattutto grazie alla grande qualità delle aziende presenti al mattino, da La Lastra a Cesani, da Signani a Mocali. Alle quali aggiungerei, come aziende “big” di riferimento Panizzi (per i vini annata e Falchini (per le Riserve).
Semmai ecco un “problema” di identità stilistica e territoriale viene fuori più sulle Riserve e sui vini che utilizzano il legno, o per la fermentazione o per l’affinamento. Qui la delicata Vernaccia reagisce in maniera molto sensibile al legno con risultati molto diseguali per stile e riuscita complessiva. Ed entrano spesso in gioco uvaggi troppo invasivi e omologanti (ammessi altri vitigni fino al 10% del totale). La selezione clonale sta dando frutti notevoli ma si avverte la mancanza di un quadro complessivo che permetta davvero di capire le reazioni del vitigno nei vari vigneti dislocati nei 400 ettari DOCG.
Percorrendo la sala si incontrano molti vigneti a coltivazione biologica che onestamente sembrano lì non per sfruttare un trend ma proprio per seria scelta e convinzione. Ecco quindi una realtà come La Castellaccia 2007 che dopo un buon esordio con la 2006, presenta una Vernaccia 2007 dai profumi ricchissimi ed esotici, croccante e invitante come poche altre. E anche la 2008, anche se forse un pò meno “lieve” promette benissimo. Altre novità raccolte in sala Mattia Barzaghi con una gamma davvero ben fatta con Impronta (tutto acciaio) e Zeta (con uso di legno) e la Riserva Cassandra ancora in affinamento. Soprattutto la “base” Impronta (sia 2007 ma ancora di più la 2008) ha davvero impressionato per precisione e per gusto pieno e fresco. Tra le Riserve, ottima la tradizionalissima Riserva 2006 di Guicciardini Strozzi e la “quasi” riserva Cusona 1933 , classico vino da amare o odiare per i suoi sentori molto sfaccettati (proviene per un terzo da uve in legno, un terzo solo acciaio e un terzo da uve macerate sulle fecce). Ottimi pure altri due esempi di uso intelligente del legno come la Santa Chiara 2007 di Palagetto (anche se ancora non prontissima) e pure l’Ab Vinea Donis 2007 di Falchini e la Poggio Alloro 2007 (non riserva ma fermentata in legno). Molto interessanti i cru di Campochiarenti con una vecchia vigna che si presenta più fruttata e minerale e una vigna più giovane che invece fa risaltare il floreale e l’acidità della Vernaccia in tutta la loro immediatezza.
Altra realtà biologica interessante la San Quirico con la “Campi Santi” con una coppia di Riserve 2003 e 2004 di grande spessore e carattere.
In mezzo alle Vernaccia Sangiminianesi, ecco spuntare un pò di Rodano, soprattutto impressionante il 1991 Hermitage Blanc di Le Chave (ad un prezzo d’occasione da Peck ne comprate una bottiglia del 2005, solo 300 euro!) e per tutt’altri motivi l’Hermitage Rouge 2006, un Syrah allucinante per gli standard italici, uno di quelli che ti fanno venire voglia di smettere di bere qualsiasi Syrah Italia IGT… Per “fortuna” che almeno costa QUATTRO volte un Sassicaia!Però quelle note di pepe appena spolverato e quel cassis e quel blackcurrant non li trovi davvero da nessun altra parte…
Altre perle, i vini Chateneuf du Pape di Tardieu Laurent utili per capire come mai vanno così di moda in USA: dolcione e morbido il bianco e dolce pure il rosso (90% grenache) però dotato di tannini affilati e un discreto amarognolo che ci fanno capire che va aspettato (è pur sempre un 2005, l’annata del millennio in Francia!).
C’è anche un Cote Rotie Tardieu Laurent del 1999 , Syrah 100%, diciamo più o meno come il Syrah di cui sopra, anche se con un bel pò di finezza in meno.
Dopo tutti questi assaggi (e altri che non vi riporto per brevità ma meriterebbero) posso dire che davvero la Vernaccia ha risolto molti problemi di qualità e si sta intravedendo uno stile ben definito per i vini in acciaio e anche nell’uso del legno sono stati fatti passi avanti. Quello che manca adesso è una ricostruzione dell’immagine e dell’appeal di questo vino sul consumatore e quindi tour promozionali, grandi verticali (quelle 2-3 aziende ormai storiche ci sono) e impegno di tutti i punti della filiera nel promuoverlo a tavola, specie fuori dalla Toscana dove non sta messo meglio del Frascati o dell’Orvieto.
Se pensate che tutti i vini di San Gimignano stanno tra i 3 e i 12 euro franco cantina (iva esclusa) capirete che ci troviamo di fronte ad un rapporto qualità prezzo notevolissimo. E sulle bottiglie c’è pure “TOSCANA” scritto ovunque…