In pieno “nuovo” Chianti Classico, una mia prima esperienza jazz. E un pò scioccante lo è stato di sicuro. Non credo possano esistere due generi musicali più agli antipodi del mio amato metal e questa cosa qui… Da una parte tecnica spesso approssimativa e potenza e 3 accordi per un disco, qui tecnica talmente eccelsa da non sentirla, classe e levità e un cambio continuo di ritmo e suoni. In pratica, faticosissimo..
Non dico che non sia stato pure grandioso, anche per un neofita come me, ma stancante questo si…(Arturo non fare la spia!)Ma è un mio limite dovuto, dice l‘insegnante di musica di mio figlio, alla non accuratezza del mio orecchio e al fatto che il mio linguaggio musicale è grossomodo al paleolitico recente.
Però dopo una serata così mi sento elettrizzato quasi come dopo un Monster of Rock, ti resta addosso un pò di quella “sana follia” di cui mi parlava un commentatore su Feisbuk, quella specie di miracolo di equilibrio che si stabilisce sul palco e che fa tutta la differenza tra un miracolo di grande artigianato musicale pinaificato a tavolino come tanti concerti rock e l’opera d’arte, intesa come performance. Ho fatto fatica a seguire i brani (quasi tutto l’ultimo cd New York Days) perchè mi sono ovviamente incaponito a seguire il tutto come se fossi ad un concerto normale…poi però mi sono addormentato 5 minuti buoni (lo ammetto!) e quando sono rinvenuto ecco che ho cominciato a pormi in maniera differente e lasciarmi semplicemente guidare dai 5 strumentisti…
Ovviamente Stefano Bollani è quello che ti tocca di più, il piano è sempre il piano e ha quel modo di suonare così caldo e simbiotico con lo Stenway che quasi non ti accorgi se sta suonando o no, soprattutto ti colpisce il modo con cui riesce a sottolineare ed esaltare chi sta sul palco con lui…e quando poi va da solo, vorresti sul serio non smettesse mai (non so se siete mai andati in trip da Il Mare si è fermato).
Ah già poi non dimentichiamo che Stefano è pure gourmet e amante del vino…dite lo si capisce da come suona?
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Che però son tutti mostruosi, soprattutto (gusto personale) Larry Grenadier e il suo contrabbasso capace di farmi pensare a Steve Harris parecchie volte e di riempire ogni singolo vuoto del fluire della musica.
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Altrettanto impressionante il batterista Jeff Ballard preciso , puntuale e puntualissimo in ogni momento di stanca del combo sul palco e capace di far suonare calda ogni percussione e ogni rullata. Vogliamo parlare di un Lars Ulrich?
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Alla fine mi hanno colpito molto meno Enrico Rava e il sassofonista Michael Blake. Bravissimi sicuramente ma dovevano reggere il confronto e sostituire nella mia distorta mente da metallaro ben due “axe” (= chitarre) … Premetto poi che i fiati in genere non li ho mai amati, sarà per colpa di Fausto Papetti o Steve Norman degli Spands (ero un Duraniano convinto), ma è diffcile che mi tocchino l’anima. Però ovviamente sul palco reggevano ogni passaggio e si lanciavano in rincorse e fughe bellissime e soprattutto la tromba di Enrico Rava sembrava la bacchetta di un grandissimo direttore d’orchestra, per non parlare della sua presenza scenica (vogliamo paragonarlo a Bruce Dickinson? ;-).
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E allora ho cominciato pure a capire come mai Jazz e Vino spesso sono insieme…tutti e due complessi e sempre diversi, credi di conoscerli e inquadrarli ma ti danno sempre un brivido inatteso, tutti e due ti possono far pensare e vagare con l’animo, tutti e due non si finisce mai di scoprirli. E per fortuna, non è neanche mai troppo tardi iniziare a conoscerli meglio. Con il vino ho iniziato 5 anni fa, con il jazz (forse) ieri…
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I metallica e la birra hanno comunque ancora 20 anni di vantaggio !