Nel secolo scorso, soprattutto fino agli anni ’80, l’idea di un vino prodotto in Toscana con il 100% di Sangiovese era qualcosa di eretico e l’unica eccezione (ovviamente Montalcino) era giusto messa lì per confermare la regola. Troppo poche le zone dove era immaginabile e possibile ogni anno avere una qualità costante e alta da uva così bizzosa e bisognosa di cure e attenzioni grandissime e troppo ampia la sua diffusione in ogni areale possibile. Oggi però è cambiato il clima, la diffusione del vitigno ma soprattutto la conoscenza delle sue caratteristiche. Ecco quindi che da un confronto tra vini completamente ottenuti da sangiovese in quattro province toscane come Arezzo, Firenze, Siena e Grosseto ha portato a conclusioni interessanti. Per esempio a considerare che alcuni terroir valgono molto più sul bicchiere che in etichetta dato che sono usciti clamorosamente vincitori su altri ben più blasonati sulla carta. Dei 7 vini a base sangiovese in degustazione sul podio sono finiti due vini dell’empolese, zona famosa tra gli addetti al settore come territorio di caccia di molti acquirenti di uva per IGT di alta qualità Toscana che in genere vivacchiano di Chianti DOCG a pochi euro sullo scaffale. Eppure quando si assaggiano prodotti come il Sangiovese della Fattoria di Piazzano o il Terra e Cielo di Fattoria Castellina (tra l’altro biodinamico) non si può che restare basiti di fronte alla ricchezza di sensazioni che riescono ad esprimere l’uno più su note di lampone e fragole ed esplosivo nella sua gioiosità mentre l”altro con note molto brunelleggianti ed eleganti. Entrambi saporosi e appaganti hanno spinto molto in basso vini da ben più nobili lignaggio come l’Anfiteatro da Panzano o un sangiovese chiantigiano classico (zona Castelnuovo Berardenga), per non parlare di un grande maremmano.
E anche l’aretino, rappresentato da un particolare vino di origini alsaziane (o almeno il suo proprietario) un terroir certo non storicamente vocato ma una mano ferma e sicura ai limiti dell’incoscienza, l’unica tra i 7 capace di restituire il carattere nervoso irascibile ma subdolamente seducente del sangiovese di razza.
Certo era una prova alla cieca quindi ci sono bias molto importanti ed eravamo ad una cena quindi la piacevolezza e il rigore stilistico e la pulizia non erano punti a favore ma spesso un handicap. Ne esce a testa alta il Nobile di Montepulciano, rappresentato da un grandissimo Symposium di Angelini 2004 risultato anche il più riconoscibile per via dell’eleganza notevole e una caratteristica morbidezza di tannino tutta poliziana.
Altro spunto interessante su cui ragionare la grandissima prova dei vini biodinamici o naturali che dir si voglia. Certo il campione di pubblico (30 persone ma consumatori piuttosto “evoluti”) forse aduso a stilemi troppo convenzionali enologicamente rassicuranti (grande estrazione, barrique, profumi con lo stampino seppur puliti e profondi) ha finito per trovare migliori o più piacevoli prodotti se non insoliti certo lontani dalla media stilistica delle rispettive regioni di provenienza.
Ma potrebbe anche essere una riprova che se il terroir conta, conta solo quando viene interpretato in maniera autentica e filtrata il meno possibile quando la sensibilità del viticoltore e dell’enologo sono al servizio del territorio e non viceversa. Laddove prevale l’idea di un vino e ciò che si vuole ottenere su ciò che il terroir vorrebbe creare si creano cortocircuiti, si tarpano ali che andrebbero lasciate libere e i vini escono quasi in sordina, precisi, puliti e accattivanti ma con un’anima confinata negli angoli del bicchiere. E finchè la Toscana sarà preda di volontà di potere e di risultato (opinabile tra l’altro) avremo l’assurda situazione di avere i nostri migliori territori ostaggi di persone che rifiutano di lasciarsi permeare e attraversare dalla vocazione del terroir che hanno la fortuna di coltivare o di avere in prestito dalla Natura. in questa fase storica molti vini bioqualchecosa risultano straodinari e specie nei confronti diretti come questi escono a testa alta semplicemente perchè fatti con sensiilità e umiltà maggiori.
La speranza e l’auspicio per la Toscana ma anche per il vino italiano tutto è che simili sensibilità e attenzioni vengano rivolte ai nostri migliori terroir in modo da vedere non solo ristabilite le gerarchie, ma soprattuto i vini migliori che la nostra regione abbia mai prodotto. Che nelle convinzioni di chi scrive, devono ancora essere imbottigliati.