Alla fine doveva anche arrivare la mia prima volta con una belga spontanea. Ovvero una Lambic, di uno dei due produttori mito, una birra che porta con sè una serie di definizioni altisonanti che ne pregiudicano mica poco l’assaggio “champagne delle birre”, “anello di congiunzione tra birra e vino” e via discorrendo.Diciamo subito che non sarà mai possibile aspettarsela una cosa del genere e soprattutto se fosse descritta in maniera assai più precisa come uno yoghurt al lampone gassato, sarebbe un minimo onesto nei confronti dei consumatori. Che sborsano 15 euro per un qualcosa che difficilmente li entusiasma, per lo meno al primo assaggio. Sono già al secondo in tre giorni e posso cominciare a descriverla bene solo ora. In effetti anche non conoscendo i retroscena splatter e fatiscenti in cui si svolge la produzioni di tali prodigi birrari (ovvero scantinati fetidi lasciati in balia di spore, muffe e funghi), il primo naso metterebbe sul chi va là chiunque con un sentore citrino di lamponi surmaturi, una nota lattica profonda e tutta una serie di puzzette dall’humus al volatile passando per la gamma degli smalti dei peggiori Beaujolais nuveau.
In bocca va già meglio con l’effetto Co2 che almeno rinfresca che lì per lì fa i paio con la dolcezza della frutta (lamponi freschi), poi subentrano le note di yoghurt (e ci si ricorda che qui la fermentazione è opera di vari microorganismi tra cui il lactobacillus vulgaricus e non solo del fido lievito saccaromices) e di cantina stagionata. Finale citrino,secco, quasi astringente per come porta a chiudere ogni papilla gustativa. Però, come certi sculaccioni che ti viene voglia di chiederne ancora, inspiegabilmente ne rivuoi. Certo non stiamo parlando di vera sofferenza fisica, quanto piuttosto di una mazzata gustativa che ha bisogno di tempo per essere rinnovata perchè ad ogni sorso senti che c’è qualcosa di nuovo e di diverso che ti attende. Il malto viene fuori a poco a poco e la sua dolcezza si sposa con il lampone e anche con qualche effettivamente minima ma suadente nota vinosa (ricordiamo che il prodotto passa due anni in barrique che hanno precentemente ospitato vino francese in affinamento).
Cià che resta in bocca è qualcosa di molto simile al piacere, e molto diverso da quello che però ci aspettiamo di ricevere, sia da una birra che da un vino.