Incontrarsi ad una verticale di Champagne, imbucarsi in una suite del Gritti, visitare di notte il lusso del Four Seasons di Firenze mentre un Clos d’Ambonnay vi aspetta nel secchiello in camera, aspettarsi a Paestum per le Strade della Mozzarella agognando l’incontro con il direttore di quella guida che nonostante l’età è così intraprendente a letto che non aspettate altro che il suo sms per sapere in quale ristorante vi troverete a cena la prossima volta. E nel frattempo vivere vendendo su ebay o al rigattiere libri, prosciutti, magnum, frullatori riciclando penne usb camuffate da cavatappi per archiviare i vostri film in mp4. Se tutto questo vi sembra una vita normale allora siete a tutto diritto parte della tribù degli “sbafatori”.
Queste persone che “non pagati, non pagano” lo siamo stati tutti prima o poi e pure noi siamo stati coinvolti nel tourbouillon di eventi più o meno esclusivi in cui abbiamo bramato di essere invitati a tutti i costi, tutti prima o poi abbiamo guardato in cagnesco quel blogger o quel giornalista invitato al posto nostro alla serata Dom Perignon mentre noi ci dobbiamo accontentare del Moët Rosè che poi ovviamente si approfitta della situazione per trarre indebiti vantaggi immeritati. Certo il fenomeno è decisamente più marcato nel cibo che nel vino con tutti gli chef (“tutti filosofi come Fabio Picchi de Il Cibreo” o marpioni come Scabin) e soprattutto i vari enti, associazioni e produttori disposti per un po’ di visibilità a regalare ed elargire pass, notti in albergo, viaggi e gadget elemosinando qualche contatto e un poco di visibilità su blog che riciclano comunicati stampa. Tutto talmente esagerato e continuo che in città come Milano, Roma e Firenze vi permette tutto sommato di condurre delle esistenze apparentemente decenti in cui sapete benissimo di mentire soprattutto a voi stessi mentre cercate di abbindolare il vostro prossimo magnificando gli accessi al vostro blog e i follower dei vostri account social.
Non ci va giù leggera Camilla Baresani nel suo ultimo libro appena pubblicato da Mondadori: le allusioni a questo e a quel direttore di testata o blogger o critico mascherato sono spesso molto evidenti anche se ha l’accortezza di fondere insieme più figure reali in un solo personaggio del libro in maniera da non svelare i riferimenti che pure dimostra di conoscere benissimo. Un libro che si rivela terapeutico come una seduta di gruppo dallo psicologo per capire cosa è diventato il mondo dell’informazione e della comunicazione enogastronomica degli ultimi anni, un mondo dove non c’è molta differenza tra i giornalisti di lungo corso e i blogger ultimi arrivati con gli uffici stampa e le agenzie di PR a dettare legge con le loro scelte in forma di inviti e regalìe varie (come la stanza al Gritti prenotata per due notti per permettere il weekend romantico extraconiugale) per accaparrarsi i migliori influencer.
Un mondo dove tutti siamo potenziali testimonial e dove tutti siamo sempre e comunque costretti a sorridere e mostrarsi entusiasti e privi di problemi anche quando facciamo fatica a pagare l’affitto del nostro monolocale in periferia. Tanto c’è sempre qualche azienda disposto a pagarci l’albergo o la cena, giusto?
A prima lettura un libro cinico e spietato in cui le occasioni di riscatto arrivano al momento giusto ma vengono costantemente ignorate. Ma anche un libro che mostra un happy end originale per chi impara le regole del gioco e prova a costruirsi una professione in questo mondo enogastronomico che pare fuori dalla realtà italiana odierna mentre invece forse ne è una metafora perfetta.