Provate a pensare ad un bicchiere di vino che conoscete o ad una etichetta in particolare che avete degustato di recente. Ne potete quasi sentire l’odore e quasi quasi l’effetto nella vostra bocca, vero? Quasi tutti gli appassionati di vino in pratica non hanno bisogno davvero di trovarsi davanti ad una bottiglia o annusare un bicchiere per mettere in moto il proprio cervello.
Magari non ce ne rendiamo conto ma anche solo leggere il nome, che so, di un Riesling Donnhoff ci porta subito nel naso un profumo di albicocca leggermente affumicato, no? Ho appena letto (su Ilsole24Ore di Domenica, recensione di due manuali di Cognitive Psicology, uno di Smitch e Kosslyn e l’altro di Sternberg) che ormai è accettato e dimostrato, tramite la neural imaging, un qualcosa che ogni appassionato enoico conosce già da tempo, ovvero che mente e cervello sono una cosa sola in quanto “la simulazione percettiva è generata dagli stessi meccanismi della percezione diretta“.
Il che empiricamente è verificabile da tutti noi in quanto anche solo il ricordo o la lettura ( e quindi un processo mentale, un pensiero potremmo dire) di un particolare vino, attiva quelle parti del cervello (fisico) deputate alla degustazione e all’elaborazione di stimoli sensoriali.
Il che non sostituisce mai l’esperienza diretta è vero, ma ci lascia qualche spunto di riflessione su come ci poniamo di fronte ad un campione di vino alla cieca oppure ad etichetta scoperta. Tempo di parlare di neuro estetica e di neuro economia anche per il vino?