di Marco Conti e Fabrizio Gori
Firenze, fondata dai Romani, forse unico caso in Italia, aveva conservato la memoria storica classica non avendo subito l’azzeramento culturale portato dalle invasioni barbariche, costituendo così un’isola di classicità che continuò a prosperare, senza interruzioni, per tutto il periodo Paleocristiano ed Alto Medioevale. Per la Città, tale discendenza sarà determinante per tutto il successivo sviluppo artistico e suoi rapporti con i centri culturali europei. Nel panorama toscano il volume Le Avventure di Pinocchio costituisce un evento insolito ed isolato e tale risulta anche all’interno della stessa produzione letteraria di Carlo Lorenzini. Una, se pur breve considerazione da dove Lorenzini trasse linfa va ricercata nella cultura storica della Toscana, con particolare riferimento alla civiltà fiorentina, nella quale Lorenzini segna la punta del tardo Ottocento. La Toscana del Lorenzini conservava ancora le tradizioni culturali delle antiche città stato, le quali, anche dopo secoli di unità regionale, mantenevano tradizioni culturali e costumi propri. A livello estetico-letterario, le città della Regione, ancora nel pieno Ottocento marciavano, con un secolo di ritardo, alimentate dal romanticismo o da reminiscenze di carattere arcadico. Nella produzione editoriale imperava il romanzo storico, con strepitoso successo de L’Assedio di Firenze di Francesco Domenico Guerrazzi, che a fascicoli imperversò fino ai primi decenni del Novecento. Firenze, centro culturale della Toscana, presenta sintomi di risveglio solo nella poesia con Giuseppe Giusti, morto nel 1850, e Renato Fucini, di cultura pisana, ma operante a Firenze, morto nel 1921. n periodo vissuto da Carlo Lorenzini fu caratterizzato da un grande evento nella vita cittadina quale il concorso per la facciata del Duomo che, dopo cinquant’anni di polemiche, si concluderà nel 1887 con l’inaugurazione di una facciata in stile lardo-gotico che farà torcere il naso a Collodi ed infurierà Diego Martelli, teorico dei Macchiaioli, che la definì una infilzata di tabernacoli. Nella musica della seconda metà dell’Ottocento primeggiò. II romanticismo lirico di Giuseppe Verdi, naturalmente odiato dai Macchiaioli. Prima di addentrarci nel mondo della «macchia» riteniamo opportuni alcuni appunti atti alla decifrazione del Pinocchio, capolavoro di Collodi. Il binomio Collodi-Brunelle-schi a prima vista può sembrare impossibile, invece rientra proprio nella più schietta tradizione fiorentina riferita alla continuità della classicità romana Brunelleschi pone l’uomo al centro dell’universo, microcosmo, ma anche al centro dell’esperienza quale artefice di progresso e costruttore del proprio futuro. La sezione aurea, metro di misura, è il modulo della dominazione dello spazio da parte dell’uomo. La prospettiva , così bene esposta dallo stesso Brunelleschi e da Masaccio, ricerca il coinvoìgimento dello spettatore nell’azione scenica, ribaltandola verso l’esterno, investendo l’uomo sul piano della realtà Esempio «da manuale» è la Trinità di Masaccio in S. Maria Novella a Firenze, dove è chiara la collaborazione teorica di Brunelleschi che si esprime nell’originale punto di fuga prospettico posto non in fondo alla scena ma sul gradino antistante quindi all’esterno della composizione, sul quale stanno in ginocchio i due donatori dell’opera, cioè le due persone che, essendo viventi, rappresentano la realtà. Questa particolare attenzione degli artisti fiorentini verso lo spettatore arriverà fin ai nostri giorni, costituendo un pensiero di classicità intesa come equilibrio di entità opposte, che, attraverso i Macchiaioli, si esprimerà, nella successiva ed importante tappa, nel Futurismo, a Firenze Cubo-Futurismo, fino all’Astrattismo classico di Vinicio Berti, dove le geometrie del Battistero fiorentino sono la base culturale di un’aspirazione alla creazione di nuovo spazio mediante stratificazioni di colore sulla tela, coordinate da rendere leggibile il percorso dalla realtà esterna a quella interna del dipinto. Lo stesso meccanismo si ritrova in Pinocchio. Collodi attraverso semplici misurazioni dello spazio misura il territorio, «pin, pin, pin, zum, zum, zum» e la fonte di suono che aumenta nel numero dei pin e zum via via che Pinocchio si avvicina al luogo di emissione. I sentimenti sono espressi da Mangiafoco mediante una serie di titoli messi in ordine d’importanza, il naso di Pinocchio si allunga
il volume «Le Avventure di Pinocchio», «Da Burde», Firenze 1991.
Un’illustrazione di Liberia Pini per nella misura delle bugie che sono invenzioni letterarie nuove, tridimensionali, di puro stampo, o meglio effetto, g Mac-chiaiolo che anticipano il Futurismo. La «Storia di un Burattino», unica opera letteraria riconducibile al movimento estetico dei Macchialo!!, inizia a puntate sul «Giornale dei Bambini» a partire dal 7 luglio 1881, concludendosi al capitolo XV con la morte di Pinocchio. In questa prima stesura, successivamente raggnippata ad altro sotto il titolo Le Avventure di Pinocchio, il racconto fila con la perfezione di una tragedia greca. Lo scontro con la realtà sociale porta l’emarginato Pinocchio di fronte alla legge, l’insidia del teatrino di Mangiafoco lo pone di fronte alla morte, anticipando un inesorabile destino momentaneamente sospeso e stemperato dal regalo dei cinque zecchini d’o-ro.che poi saranno la causa della sua triste fine, impiccato appeso alla grande quercia. Dopo alcuni mesi il racconto a puntate continua, una nota di Collodio che incerniera i due tronconi dell’opera, viene sempre omessa facendo sì che quell’insieme di avventure scollegate fra loro vadano ad annacquare la schiettezza ed anche la bellezza della tragedia iniziate. La prima parte del racconto costituisce un punto fisso nella cultura fiorentina, che meglio sarebbe definire «Civiltà Fiorentina». A primo impatto emerge subito quello spirito ironico che in breve sintetizza anche i momenti più drammatici; chi visse l’evento alluvione del 1966, tanto per fare un esempio più a noi vicino, non vide per le strade lamentatrici di greca tradizione, ma solo maniche rimboccate intente a cancellare prima possibile i segni di quella offesa alla città. – Che Dio l’aiuti – disse una donna passando davanti ad un artigiano indaffarato a vuotare la sua cantina – e l’uomo di rimando -Bah, se ‘un m’aiuta, vorrà dire che farò qualche viaggio in più -. «Oggi solo umido» si leggeva su improvvisati cartelli agli sporti delle trattorie. È questo lo spirito popolare e il sapore di una civiltà di uomini vivi, non di accademici monumenti ambulanti, le cui importanti tappe sono segnate sulle marmoree geometrie, o meglio geroglifici, intarsiati sulle pareti del Battistero di S. Giovanni e sulla facciata della Badia fiesolana; due libri di pietra che dopo Gu-tenberg contano sempre meno lettori. La sinteticità di Dante, lo spazio bru-nelleschiano, l’iconografia dei Manieristi, i Macchiaioli con Pinocchio e le sue anticipazioni futuriste sono i momenti importanti di un percorso tutt’og-gi in atto nella città di Firenze. Il tentativo di procedere su questa insidiosa strada si fa struggente e difficile, resta di fatto il capolavoro di Collodi che occupa un posto che va oltre l’essere stato relegato nella letteratura per l’infanzia.
Nel 1850 muore a Firenze Giuseppe Bezzuoli, la Pittura scolpita in marmo piange sulla tomba, in mano tiene un cartiglio con i nomi dei pittori più importanti del periodo.
Nel 1850, all’interno del caffè Michelangelo a Firenze, si forma un gruppo di pittori che per la loro tecnica innovativa verranno, a spregio, definiti Macchiaioli, fra questi è il giornalista Carlo Lorenzini. che da poco ha adottato lo pseudonimo Collodi.
Questi paralleli riferimenti costituiscono due opposte realtà destinate allo sconto.
La lentezza dei ritmi di vita del passato dava maggiore stabilità alle stagioni dell’estetica, si ebbero così lunghi periodi nei quali fu possibile l’allineamento delle arti e delle scienze. Più frenetici i ritmi del tempo a noi più vicino ove molte correnti pittoriche a malapena sono sconfinate nelle arti visive collaterali, fra queste rientra il movimento dei Macchiaioli, che la critica ha relegato alla sola pittura, nonostante l’intensa stagione dal 1850 al 1867. In questo clima incontriamo Collodi nelle memorie di Telemaco Signorini, 1848-1867.
«O ameni e piacevoli compagni di Montucchielli, di Tricca e di Arnaud, Guglielmo Pampana e Carlo Lorenzini! Basti a ricordare l’ingegno di quest’ultimo e la finezza del suo umorismo, tutto quello che lui ha pubblicato sul Fan-fulla e quello che il Paggi ha stampato di libri per l’educazione dei fanciulli». Più tardi ritroviamo Collodi a coUaborare con maggiori esponenti del movimento dei Macchiaioli, intento alla redazione della Strenna del Circolo Artistico di Firenze del 1882, anno del Pinocchio, assieme a Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Fosco Tricca, l’amico Yorik, Giovanni Marradi e Diego Martelli.
Prima del Pinocchio, la produzione letteraria di Collodi, costituita di articoli giornalistici, commedie e romanzi ad usum delphini, risulta piuttosto me-diocre, ha in sé l’anima del macchìaiolo che esprime solo a livello di abitudini in quanto uomo represso dalle condizioni familiari che gli impongono un comportamento diverso, cioè una ufficialità prettamente borghese, hi verità, nell’arco della sua produzione letteraria emerge qua e là il suo spirito popolare di repubblicano anelante al socialismo, però abitudini e vita privata sono lontani dalle sue esposizioni pedagogiche, un conflitto pagato assai caro, determinato da una madre morbosa ed ossessiva che sempre lo considerò il suo Cadetto, e dall’ombra del fratello Paolo «arrivato». Non dimentichiamo le umili origini dei Lorenzini, imborghesiti dall’incarico Paolo a direttore della manifattura Ginori di Doccia. Collodi e la madre vivono ospiti di Paolo nel lussuoso appartamento in via dÈ Rondinelli, Morta la madre e probabilmente allentatasi la pressione del fratello, Collodi si sprigiona in tutta la sua freschezza di popolano antiromantico, antiborghese ed anche maleducato: esce di getto Pinocchio che altro non è che la sua autobiografia. «C’era una volta … – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno». Introduzione al Pinocchio che è già un programma «pi-pi-pi, … zum, zum, zum. Si fermò e stette in ascolto». Sono le pennellate a macchia della rappresentazione letteraria del suono, pennellate che ritroviamo in tutto il racconto ove rumore di Mangiafoco si misura non da noiosa descrizione ma dal numero dei titoli. L’ambiente dove si muove il nostro eroe-burattino è quello dei campi coltivati, ove dai filari delle viti cariche si ruba l’uva, i boschi, fosse e capanni fino al bindolo di Giangìo, tutte queste immagini potrebbero esse le tavolette dipinte dai macchiaioli. Questo è Collodi, ambiente, dimensione e spirito. Le Avventure di Pinocchi, o capolavoro della letteratura universale. Libro per ragazzi? No! sotto questo aspetto, semplicemente diseducativo. Libro da adulti, che senza nessuna riserva collochiamo nella giusta sede quale unica espressione letteraria innovativa della seconda metà dell’Ottocento e solo riconducibile al movimento fiorentino dei Macchiaioli.