Nel report fatto da Erbusco (editato e riassunto da Antonio) apparso su Intravino qualcuno mi ha fatto notare che mancava l’intervento di Intravino e quanto abbiamo portato agli “stati generali del vino italiano”. Colmo la lacuna riportando qua l’intervento che mi ero preparato ma che ovviamente non ho riferito in toto visto l’esiguità dei tempi a disposizione. Soprattutto abbiamo incentrato la comunicazione sul concetto di qualità del vino correlata alla qualità della comunicazione dello stesso e di come il web sia ancora sottoutilizzato da questo punto di vista, sia per colpe soggettivi da parte di aziende e giornalisi ma anche oggettivi in quanto molte cantine sono tutt’ora scollegate dal resto del mondo e dal web stesso.
Ecco il nostro intervento:
Intravino nasce come blog collaborativo per sorpassare una sorta di empasse dei blog tradizionali monopersonali e per riunire un gruppo di persone che volevano proporre qualcosa di nuovo come linguaggio come formar e come modo di scrivere rispetto alla comunicazione tradizionale del vino.
Dopo una prima fase di rodaggio, Intravino costruisce il suo successo (se così si puà chiamare ma 4mila contatti unici al giorno non sono bruscolini) sulla nascente comunicazione dei vini cosiddetti naturali (per riprendere un termine coniato da Davide Paolini) e ne diventa il paladino non tanto per scelta precisa ma perché riesce ad incanalare una filosofia di pensiero, leggi attenzione al piccolo, cercare al di fuori delle guide, uscire dalle logiche di mercato che sono proprie dei vari movimenti bio.
Soprattutto il vino bio si è posto fin dall’inizio come alternativa presunta o reale ai vini cosiddetti convenzionali (meglio dire moderni…) che la critica “ufficiale” di carta aveva curato e in qualche modo allevato in un circolo virtuoso che aveva sì portato al grande miglioramento qualitativo degli anni 90 e 2000 ma anche verso una omologazione eccessiva di gusto specie per raggiungere i premi più ambiti in grado di modificare le sorti commerciali di un prodotto.
Intravino quindi ha tratto grande linfa vitale da questo malcontento nei confronti delle guide ponendosi come indipendente e capace di dare voce usando il web a tante piccole realtà che non avevano trovato per tanti motivi uno loro spazio sulla stampa tradizionale.
Guardando il futuro ci sentiamo nella posizione di poter continuare a comunicare la qualità dovunque essa si manifesta e soprattutto portando avanti le possibilità che il web offre di essere strumento potente per dar voce a chi non ha un canale per far conoscere i propri vini ma non siamo del tutto certi che la qualità passi necessariamente per il bio o una etichetta più legata alla terra e alla natura.
Un vino deve soprattutto essere piacevole e raccontare un territorio o una idea di vino prima ancora di essere apprezzato perché bio. D’altro canto raccontare un vino di territorio è sempre più difficile usando scale e punteggi e più semplice usando foto video e testo nei modi e nei tempi che il web permette di fare il che espande il concetto di qualità in maniera notevole.
Un vino può essere ricercato voluto perché comunicato come unico e foriero di una storia o di un territorio, un vino che secondo i parametri magari non raggiunge i fatidici 90 punti o 18/20 ma che appaga il nostro bisogno intellettuale di conoscenza ed esperienza gustativa.
Detto questo, siamo a porci domande sul futuro come tutti ma siamo certi di almeno due cose ovvero che la grammatica con cui si scriverà e si comunicherà di vino nel futuro deve ancora essere scritta ma che soprattutto non sarà scritta da chi ha gestito fino ad ora la conversazione in materia e neanche da chi ha cominciato a farlo sul web. La grammatica futura della comunicazione del vino sarà scritta dal web stesso e dalle dinamiche che animeranno l’infosfera del vino.
E prima che la qualità, nel comunicare e far conoscere un vino conterà il modo con cui il consumatore cercherà informazioni sul vino stesso, qualcosa che possiamo monitorare costantemente ma che non abbiamo idea in cosa potrebbe evolvere.