Domani su Intravino tutte le note di degustazione faticosamente raccolte nel poco tempo che avevo a disposizione ieri a Verona per farmi una idea dei vini. Ma ben più importante il fatto che mi sono fatto alcune idee precise sulla Valpolicella. Almeno 4, via.Innanzitutto, nonostante la nebbia, è un posto bellissimo e dalle potenzialità turistiche sconfinate e ancora molto poco sviluppate, immaginatevi solo che là sopra (una foto presa da San Giorgio, casa di zio Ari) in quel nebbione c’è il Lago di Garda sovrastato da La Poja (donde il vino omonimo di Allegrini) con tutti i suoi annessi e connessi (Gardaland, CanevaWorld, il surf…) e a 15 minuti da qui il centro di Verona. Una combinazione letale, simile forse solo a certe zone in Toscana, con qui la combinazione ulteriore con una ricchezza di fondo data da aziende, banche e imprese simile alla Franciacorta.
Secondo, le tre vallate, la zona nuova, la zona vecchia, gli stili di produzione, c’è una quantità di materiale da degustazione ampiamente sottoutilizzato (diciamo l’unico che per ora ha cominciato a lavorarci è Aristide con il suo stupendo e pioneristico Terroir Amarone) che aiuterebbe non poco ad apprezzare ancor meglio l’Amarone di quanto non lo sia adesso. Immaginatevi degustazioni suddivise per residuo zuccherino, per vallate, per moderno/tradizionale, per tavola o fine pasto, le combinazioni sono tante e tutte importanti per il consumatore moderno sempre più attento a questi fattori, sia esso uno enosborone dell’ultima ora o un enofilo alle prime armi.
Terzo la storia e gli intrecci dietro il glamour del vino, il suo essere al tempo stesso bene di lusso ma che proviene da una storia tragica di lotte e sofferenze, il suo innestarsi (via il Ripasso) su una lotta per la sopravvivenza dei contadini della zona (e qui Zeno parla meglio di me) per non parlare delle arele e della loro origine per la coltivazione del baco da seta (di nuovo parlate con Zeno che è meglio).
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Quarto, le caratteristiche dell’Amarone stesso come vino, il fatto che come tale si pone come ultimo anello della catena alimentare del vino, ovvero che è sempre e comunque, quando è presente, il vino che ha l’ultima parola e l’ultimo sorso una volta che è in tavola. E allora conta la qualità e l’attenzione alla produzione senza eccessi e caricature, unite ad una tecnica inappuntabile che le variabili in gioco sono tantissime. In questa ottica, tra quelli assaggiati trovo esemplari David Sterza e il suo Amarone 2005 per come è al tempo stesso potenza, classe ed eleganza pur rimanendo bevibile e altri (pochi, concordo con Ziliani stavolta) che ieri ne hanno dimostrato le potenzialità.
E parlando di stili, ecco alcuni dei migliori assaggi del 2006:
Tradizione e bevibilità
2006 Albino Armani Cuslanus naso tranquillo non invadente, marasca liquirizia prugna cardamomo, karkadè, bocca acida fresca molto naturale affatto pesante grande beva 91
Potenza e fine pasto
2006 Trabucchi naso di ciliegia fresca durone, fragola matura, marmellata di lampone, mallo di noce, bocca molto dolce un pò stancante, acidità solo discreta, ottimo ma non da pasto… 91
2006 Roccolo Grassi leggero fumè grafite polvere da sparo, pepe, noce moscata, ciliegia fresca, marmellata mirtillo, bocca piena ma non esagerata, freschissima e immatura, da aspettare con fiducia 90
Eleganza e finezza
(botte) 2006 Tezza Brolo delle Giare ricchissimo naso dalle mille sfaccettature ancora un pò segnato dal legno ma molto promettente, materia in bocca fenomenale, tannino finissimo, grande persistenza 93
Buoni assaggi oggi!