Icchè mi succede

Cocktail Competition Long Drink Vermouth di Prato: Andrea Gori in giuria!

A noi “poveri” sommelier tocca fare pure questo ovvero, su invito di Andrea Balleri e del fiduciario AIBES regionale Luca Picchi (avete presente Rivoire?) siamo stati, insieme a due colleghi sommelier di Prato, precettati per presidiare la giuria della Prima Edizione della Competizione per Barman LongDrink a base di Vermouth di Prato, antica ricetta del 1750 riscoperta e prodotta dalla Gusteria Numquam. E così ieri durante uno dei bellissimi giovedì “bianchi” con i negozi aperti fino alla mezzanotte nel centro di Prato nella bellissima Piazza Duomo mi sono ritrovato davanti 17 cocktail di una bellezza emozionante e tutti veramente ben fatti e dissetanti. La competizione prevedeva, oltre all’utilizzo obbligatorio di 20 cl di Vermouth di Prato, alcune caratteristiche ovvero di essere un Long Drink after dinner e soprattutto, vista la stagione, che fosse rinfrescante ed “estivo” quindi alcool relativamente basso (del resto il Vermouth è sui 17% e quasi mai di più). Dei 17 cocktail (qui trovate alcune foto) almeno 5 erano davvero eccezionali e soprendenti e facevano davvero capire la differenza tra un cocktail da discoteca preparato giusto per intascare 10 euro e una piccola opera d’arte creata per intrattenere e soddisfare un cliente esigente di un bar di livello. Non è la prima volta che frequento ambienti AIBES e bar di un certo livello e ogni volta mi sorprendo per la grandissima preparazione di questi ragazzi che ha poco da invidiare a quella dei più bravi sommelier. Che per il momento hanno qualche opportunità mediatica e di carriera maggiore visto che esercizie e locali che puntanto sul Bar e sui cocktail sono sempre meno, o almeno sono pochi quelli che puntano alla qualità tout court del servizio e delle materie prime.

Ha vinto Salvatarore Casapullo da Montecatini, non nuovo a questi exploit con un freschissimo drink a base di succo di lamponi freschi spremuti e zucchero di canna liquido, Passoa e Cramberry Juice.

Presentazione eccellente, decorazione semplice ma efficace, colore invitantissimo rosso acceso, lamponi sopra tutto ma con il Vermouth di Prato ad esaltare la freschezza del Cramberry Juice. PAssoa dolce stemperava il tutto e davvero uno di quei cocktail su cui su può usare la frase tecnica “ne berrei un secchio”…

Ed eccolo qui premiato da Andrea Balleri sul palco:

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Premiazione Vermouth Prato
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Al secondo posto Stefania (e la vediamo in questo video mentre prepara il suo cocktail) Vermouth, Pestato di Agrumi, Whisky Canadian Southern Comfort e succo d’arancia. Mi è particolarmente piaciuta la decorazione con il richiamo dell’alchechengi rotondo e giallo sul bicchiere panciuto contenente il cocktail pure giallo e le foglie di menta che richiamavano il pestato di lime nel bicchiere. Al gusto era molto rinfrescante con una piccola nota amaricante nel finale che ha davvero reso difficile non berlo tutto nonostante il caldo e il fatto che fosse il diciasettesimo assaggio della serata!

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Stefania e il coktail Vermouth Prato
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Momenti di show finale con una esibizione di Flair Barman che, nonostante siamo un pò lontani dal livello del Bar Show di Londra, fanno ben sperare per il futuro di questi ragazzi. Presentato da Federico Filippelli, ha visto sul palco, oltre all’esibizione del presentatore, anche Sasha Mecocci e un altro bravissimo giovane Damiano Carrara…(che a giudicare dal sito ha le idee MOLTO chiare)

Eccoli su YouTube!

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http://www.youtube.com/watch?v=1PeSki_Y4UQ
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http://www.youtube.com/watch?v=HcH3iOWk0zI
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http://www.youtube.com/watch?v=caE_acDSVpk
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Un anno di Vino da Burde! (ieri 29 Giugno 2008)

Già, non sembra neanche a me ma è passato “solo” un anno da quando ho aperto questo blog, da quel generico “ciao mondo” che apre ogni blog qui sulla Simplicissimus Blog Farm (esistono post precedenti ma sono frutto del lavoro di giugno e luglio 2007 per recuperare eventi e degustazioni passate). Il blog è nato “semplicemente” per dare visibilità non tanto alla mia grafomania ma quanto all’attività che quotidianamente svolgiamo qui da Burde tra Bar, Alimentari e Trattoria e tutte le storie che sentiamo e che viviamo ogni giorno: poi come avete visto, da cosa è nata cosa (e c’è chi ancora mi chiede se c’è un collegamento tra me e la trattoria, magari la “scimma” Massimo Carraro mi aiuta a capire cosa non va nella mia comunicazione…).

Per me è stato un anno a dir poco meraviglioso e bellissimo visto che nel frattempo mi si è raddoppiata la prole, sono diventato vicecampione Europeo (e basta, non se ne può più di sentirlo…), ho iniziato collaborazioni stimolanti e creative, sono stato lusingato, vezzeggiato e coccolato come mai prima di ora. Sono stato stressato e mi sono sentito pure in certi momenti schiavo del blog e con la sindrome del post da scrivere, la mania di protagonismo e di essere primi per forza sul pezzo nuovo da pubblicare…l’IPhone sempre acceso per leggere tutti i feed, partecipare a tutte le discussioni, rispondere a tutti e tutto: insomma the full monty del blogger, nel bene e nel male. Compreso il tanto auspicato effetto positivo sulla psiche: che se sommato a tutti i grandiosi effetti che dovrebbe avere il vino sul nostro organismo dovrebbe rendere noi wineblogger davvero entità superiori, o almeno, persone felici (ma LOL!).

Un pò di statistiche e di best of vedono come ancora oggi il post più letto e commentato rimane uno dei primi, ovvero L’ineffabile aroma di vita dei neonati, dedicato al piccolo Keno appena nato, ripreso da vari riviste e giornali e blog e pure letto in alcuni forum di neo mamme e pediatri premurosi. Davvero troppa grazia! E scorrendo via via gli altri mi rendo conto di come questo blog, partito come blog aziendale della Trattoria Da Burde, si sia un pò allargato dal solco iniziale sconfinando in territori vicini e anche lontani, sia pure con alterne fortune; cosa che mi impone di rammentare a tutti una delle massime di Antonio Tombolini ovvero che “il post che riceve più commenti non è mai quello più bello” e soprattutto che “quello che piace di più a te non sarà mai il preferito del tuo pubblico“. Per la cronaca, IMHO, il migliore è quello degli auguri 2.0 dello scorso natale ma non se l’è filato quasi nessuno…

Tuttora ricevo saluti e complimenti dalla maggioranza silenziosa, ovvero tutti quelli che leggono e non lasciano commenti che sono davvero tanti e ringrazio commosso per l’attenzione che mi date. Devo dire che in gran parte è poco meritato ma dovuto al fatto che la professione di Sommelier, benchè in ascesa, non ha sul web tutta quella rappresentanza e visibilità che potrebbe avere, visto che mamma AIS solo recentemente ha cominciato a dedicare attenzione ai blog e ai tentativi di divulgazione del vino 2.0. E invece sono tante le aziende che guardano a noi sommelier con curiosità, interesse e un pò di speranza che possiamo essere utili alla causa della divulgazione del bere bene, ancora prima che al VENDERE vino buono.

La lista di ringraziamente sarebbe lunghissima ma la faccio breve e sparsa:

  1. Antonio Tombolini e alla sua Farm che mi ha accolto a braccia aperte e che mi ha fatto appassionare al blogging tramite le letture dei post nel loro aggregatore.
  2. I “fratellini terribili” di Vino24.tv che hanno la colpa (che mai espieranno abbastanza) di avermi fatto leggere Naked Conversations di Scoble e Israel, tuttora il mio libro di riferimento.
  3. Franco Ziliani per avermi lanciato e per essere stato il primo a “presentarmi” alla blogosfera. Adesso magari se ne è pentito 😉 ma senza di lui e i suoi articoli sul suo blog e sul sito AIS sarei ancora quasi una nullità senza seguito.
  4. Massimo Bernardi e KelaBlu, ovvero il laboratorio web x.0 più dinamico che l’Italia abbia (e non solo food e wine) che mi ha fatto conoscere un mondo che finora vedevo dalla finestra e nel quale adesso comincio a sguazzare con piacere
  5. Tutti gli altri blogger, navigatori e forumisti con cui ho scambiato mail commenti incrociati e discussioni animate.
  6. L’Associazione Italiana Sommelier e sentitamente i vicepresidenti Antonello Maietta e Rossella Romani per il continuo supporto e incoraggiamento a proseguire nella mia attività di blogger “semi ufficiale”
  7. Mia mamma, mio babbo e il personale qui a Burde che si fida quando gli dico che 2 ore davanti al pc al giorno sono fondamentali per il Ristorante
  8. La mia famiglia che sopporta le altre ore che passo a casa davanti all’altro pc…
  9. Tutti voi che mi seguite, sommelier e non, per tutti i commenti, i sorrisi, le pacche sulle spalle e i saluti che mi avete fatto in questi mesi e l’affetto che mi mostrate continuamente

E il futuro cosa vi aspetta? (se siete arrivati a leggere fin qui almeno un pò penso che vogliate continuare a leggermi). Innanzittutto cercherò di proseguire la copertura delle principali manifestazioni vinose e dei concorsi sommelier (prossimi campionati italiani, Master del Sagrantino, Master del Sangiovese), dedicarmi ad affinare il linguaggio video e le sperimentazioni multimediali (anche se non mancherò di ripropinarvi  le video degustazioni “classiche”) e a scovare un modo per rendere sempre più interessante e fruibile a più persone possibile il fantastico mondo del vino e del cibo in rete, cercando di allargare sempre di più la nostra base e l’interesse attorno a questo straordinario mondo di possibilità formative e informative che è il WEB.

Pitti Uomo e il Glamour del cibo e del vino

Ogni anno Firenze si anima un paio di volte ALMENO, per le feste e la settimana di Pitti. Tra Londra e lavoro in trattoria (per fortuna un pò di clienti vengono pure nella remota periferia per pranzi e cene di lavoro…) contrariamente alla mia natura modaiola e trendy mi sono perso circa una decina di feste (e ringrazio tutti quanti mi hanno invitato a sfilate, degustazioni, incontri e soireée varie) compreso l’happening in “casa” della simpaticissima Simonetta Doni (designer di etichette e non solo) di oggi con Filippo la Mantia ai fornelli coadiuvato da Alessandro Frassica di ‘Ino.

E non dimentichiamoci di Giuseppe Calabrese che però mi pare sia andato lì a mangiare e basta…:-)

A presto una cronaca della giornata grazie al “mio” inviato Leonardo Romanelli! Intanto ecco la descrizione “ufficiale”

Naomi Campbell, Carla Bruni, Monica Bellocci, Kate Moss. Altro che top model qui sono le etichette a sfilare!

Da un’idea di Simonetta Doni, fiorentinissima stilista del vino, è nato “Wine for Fashion” un particolare défilé di etichette ispirato a grandi griffe della moda. In occasione dell’ultima edizione di Pitti Immagine, Doni & Associati, studio specializzato in immagine del vino, apre le porte per un evento speciale a cavallo tra divertissement e riflessione creativa. Una trentina di etichette esposte in un lungo corridoio perfettamente illuminate a omaggiare stilisti vecchi, nuovi, classici, estrosi. Fiore all’occhiello un box con la scritta “no legal” contenente quattro bottiglie “logate” che ha incuriosito e divertito gli ospiti.

Lo studio, essenziale, luminoso, con tocchi vintage qua e là, ha accolto per due giorni amici, giornalisti, addetti ai lavori, opinion leaders o semplici amanti del bello e del buono che si sono dati appuntamento.

Notevole l’intrattenimento enogastronomico con vini in assaggio di importanti aziende vinicole o di piccoli produttori grazie al concept “Enomatic”. Il primo giorno il giovane e già conosciuto Marco Stabile, chef del Ristorante Ora d’Aria, ha offerto agli ospiti la sua creatività ispirata dalla tradizione con un freschissimo semifreddo di ribollita di mare, un carpaccio di gamberi siciliani con insalatina di porcini del Casentino e altro ancora. Il secondo giorno il celebre cuoco palermitano Filippo La Mantia ha regalato un po’ del suo Sud con un “estroso percorso siciliano tra pasta e cous cous”.

Sempre presente Alessandro Frassica, patron di ‘Ino – Bottega di alimentari e vini con i suoi panini d’autore e altre chicche gastronomiche. E per finire in dolcezza il gelato di Carapina con una delicatissima crema al limone e un’altra al vin santo ad hoc per i mitici cantuccini di Prato Mattei.

 

Wine for fashion: moda e vino si incontrano in territori culturali e percettivi comuni e sempre più rappresentano i nuovi stili di vita internazionali, all’insegna della bellezza e della qualità.

Evviva i creativi!

Londra e l’Anima italiana della City

Può succedere, effettivamente più facile a Londra che a Quaracchi, che due hedge fund da 800 milioni di sterline decidano di spendere due briciole (comunque 3 milioni dei suddetti) per aprire un ristorante, magari sotto i propri dilatati uffici in Liverpool Street in piena City.

LA City è l’anima dell’Inghilterra odierna, che qualcuno ha definito appunto come un gigantesco Hedge Fund mondiale più che un paese vero e proprio.
Passeggiando la sera tra Caxton street, passando sotto il Ghurken e slogandosi il collo per seguire la verticalità inaudita di questi palazzi e il continuo cozzare di diagonali e frecce d’acciaio (ma il feng shui qui nessuno sa cos’è?) non penseresti proprio che sia il posto ideale per metter su un Ristorante Italiano, per di più dall’altisonante nome L’Anima . E che aspira a diventare l’anima latina gastronomica in mezzo a tanto freddo e tintinnar di denari.
Ma tutta Londra pullula un pò ovunque di iniziative italiane degne di nota e che secondo me pure riescono davvero a trasmettere un pò di dolce vita in queste zone. Vedere per credere lObika in pieno SelfRidges: ci credereste che qua potete ordinare un panino con la Mortadella di Prato? Roba quasi impossibile persino direttamente in Toscana! E invece questo “Mozzarella Bar” funziona davvero bene…
L’altra sera, finita Italia- Francia nel migliore dei modi possibili (veder vincere la tua nazionale mentre sei all’estero è un piacere atavico e indescrivibile, forse pure provincialotto ma sublime) e abbracciati i festanti allievi del Primo Livello AIS Londra al Jolly Hotel (altra bandiera italiana ammainata, ora è tutto di proprietà spagnola NH), con Andrea Rinaldi e la graditissima sorpresa di Luca Boschian, illustre e celebre collega sommelier dallo Zafferano , decidiamo che se dobbiamo brindare alla nostra Italia dobbiamo appunto farlo nell’avamposto più ambizioso che la nostra cucina ha piazzato nel mercato della ristorazione globale, L’Anima, appunto.
Piccola nota su Luca Boschian: sono stato davvero al settimo cielo nel ricevere da lui i complimenti per la lezione sui distillati, non credevo proprio di risucire ad insegnare qualcosa a questi ragazzi che già lavorano nei più esclusivi bar e ristoranti della città. Oltretutto una persona della sua esperienza e umanità ti fa capire davvero che nella professione di sommelier spesso le chiacchere stanno a zero e quello che veramente conta è l’anima e la passione, in generale tutta l’umanità che riesci a metterci dentro. Leggete la bella intervista che Ziliani gli ha fatto qualche tempo fa sul sito AIS.
Eppoi da piccolo sommelier di provincia ad ascoltare i suoi racconti di Abramovich e Shevchenko alle prese con il Ronco delle Mele di Venica e i Vermentini della Liguria e le bottiglie da 20mila sterline che apre quasi ogni giorno (qualcuna pure “falsa”, ricordate il Petrus 1961 rifiutato?) fa sempre un magnetico effetto.
Scusate l’inciso, torniamo nell’anima del post. L’ambiente è di quelli ultra COOL e del resto da Claudio Silvestrin, già architetto poliedrico e interior designer per Armani, non ci saremmo aspettati niente di banale. Francesco Mazzei è un cuoco di origine calabrese (Cosenza) che ha girato l’Italia prima e l’Inghilterra poi sempre con l’idea fissa in mente che la cucina italiana non doveva e non deve assolutamente essere considerata grande per quanto riesce a scimmiottare e a farsi simile alla francese o spagnola di turno. Crede nelle materie prime e crede nella semplicità dei piatti e non dà molta importanza alle costruzioni immaginifiche nell’impiattamento. Nell’anima ha disegnato di persona gli oltre 100 mq di cucina con ogni sorta di apparecchiatura, ovviamente ad esclusione di pacojet e sifonistica assortita ma con un bellissimo forno Jasper spagnolo, diavoleria alla brace chiusa capace di cuocere in 5 minuti una pancetta di maiale in maniera perfetta donandogli profumi e aromi da brace estremizzata.

E oltretutto è pure simpatico e curioso di ogni aspetto della cena dal punto di vista di noi ospiti, che lui continua a definire illustri (e mi giro per vedere di chi sta parlando).
Siamo accolti dallo chef ma anche dalle hostess (nella city è la norma trovare al tuo ingresso almeno due ragazze altissime non proprio spiacevoli a vedersi che ti accomodano in una lounge apposita di attesa a sorseggiare Champagne, ideona mi pare perfettamente replicabile anche da Burde (inviate pure CV e foto).

Barman di eccezione un ragazzo palermitano, campione Aibes dalla cultura sconfinata su distillati e metodi di preparazione dei liquori, davvero un plus graditissimo. Ci prepara un “semplice” aperitivo Champagne, aperol, succo di ciliegie sotto spirito guarnito con una fetta di arancia sbucciata: delicato e persistente, davvero ottimo.
Ci accomodiamo nella sala bianca con marmi bianchi e scuri ma mai freddi con un bianco abbacinante delle tovaglie e delle ceramiche. Se fossi Vuggì noterei pure la cura nella stiratura delle tovaglie e tovaglioli ma ve la risparmio.
Presenza di camerieri e sommelier costante ma mai invasiva, pane fatto in casa di tre tipi (focaccia ligure, pane toscano sciapo e grissini) con tanto di olio da taggiasca per una fettunta veloce (per fortuna il burro da pane è bandito).
Partiamo con una zuppa di cozze e vongole e La Montina Saten che peschiamo da una carta dei vini accorta senza troppe grandeur ma con vini (per lo più ovviamente italiani) di sicuro interesse. Grandissima idea la presenza di due vini calabresi come il Vigna Garrone di Odoardi, ovviamente invendibile ma il giorno che un manager della city lo bevesse per sbaglio, siamo sicuri che la smetterebbe di ordinate il “solito” St Emilion (che qui è il vino di default per la ciccia se il londinese non sa cosa prendere…come da noi il Chianti Classico insomma).
Per primo andiamo su Zitoni Nduja e Melanzane e protestiamo con lo chef calabrese per l’utilizzo troppo parsimonioso dell’amata Nduja ma ovviamente qui il cliente medio scapperebbe anche solo davanti alla piccantezza dell’odore di una vera Nduja di Spilinga.
Per main course provo la pancetta di maiale al forno con purè ed è una scoperta notevole per come bilancia il grasso e il morbido della patata e la croccantezza della pelle arrostita: ottimo pure l’abbinamento con un Niedermayr Pinot Nero 2003 Alto Adige. Prima del dolce, spazio a formaggi per un Chianti Classico che Boschian ci raccomanda e che non conosco (è mai possibile???) ovvero il Doccio di Matteo Riserva Casarsa 1999. Davvero niente male e stupisce come certi vini con 10 anni sulle spalle vengano accettati prontamente qui a Londra mentre in Toscana pure le Riserve 2004 paiono a molti clienti troppo stagionate…
Un solerte e elegantissimo cameriere croato (ci siamo dati appuntamento nella finale degli Europei discorrendo di Drazen Petrovic, Kucoc e vari eroi sportivi degli anni 90) ci serve un dolce meraviglioso e da applausi un soufflè di mirtilli con meringa spumosa come base e salsa di cassis servito caldo. Abbinamento da urlo con la Ciroc Vodka di uva (ovvero ottenuta da 50% di distillato di cereali e 50% di distillato di vino della zona dell’Armagnac): invece del solito quarzo neutro della vodka classica, questa ha un fruttato di prugna e mirtillo che si sposa alla perfezione con il soufflé regalandoci una chiusura di cena con i fiocchi.

Tour della cantina a giorno e della sala riunioni (trasformata in una curva da stadio con sedie Kartell per la partita della Nazionale) ma che in genere è una piccola caverna di marmo e cascate vere dalla pareti con fiori giapponesi che spuntano dai muri, piccolo capolavoro di design moderno che riesce a non farti rabbrividire.
Si parlava di anima italiana a tavola e di come questi spazi ne abbiano disperatamente bisogno ed è un concetto di cui abbiamo parlato anche a lezione con i ragazzi ovvero del fatto che la differenza nella ristorazione e in genere nel wine ad food non la fanno solo i prodotti italiani ma pure gli italiani che le servono e le presentano dai camerieri agli chef e ai sommelier, sarebbe riduttivo parlare di cucina italiana come se fosse una serie di regole e di ingredienti.
Gli stessi dipendenti qui all’Anima sono incoraggiati e spesati a trascorrere periodi di acclimatazione e formazione in Italia che sarebbe riduttivo paragonare a dei semplici stage. Prendete il nostro solerte e impeccabile sommelier Gal Zohar, israeliano.

Di formazione “francese”, ama ovviamente i vini d’oltralpe e ne vende senza problemi casse intere ma sui vini italiani, per quanto preparatissimo pare sempre un pò titubante a presentarli come se non ne fosse intimamente convinto. Ma se si vuole sperare di vendere vino italiano ai londinesi, Franciacorta al posto di Champagne e bianchi del Collio al posto dei Graves o dei Montrachet è ANCHE da questo tipo di professionisti che occorre partire più che da un italiano preparatissimo nato cresciuto e bevuto dai nostri nettari dai 3 anni. Professionisti che nascono francesi e che vengono piano piano sedotti dai nostri vini e dalle nostre terre. Gal dice che vuole venire in Toscana e Francesco me lo vuole mandare da Burde, e capisco che forse non è al corrente che posto sia la mia trattoria.

L’italianità a tavola è qualcosa di molto più simile ad un modo di essere e di interagire con le persone: qualcosa che rende i nostri ragazzi che ho incontrato in questi due giorni, capaci di imprese e servizi di altissimo livello.
Per molti di loro Andrea Rinaldi è un riferimento importante, non cura solo i corsi per sommelier e nemmeno si limita a fare da agente per molti importatori e aziende vinicole italiane, è come un console o un ufficio del lavoro permanente che lega insieme una serie di aspetti tutti attinenti al concetto di Italian Way of Life a Londra. Ovviamente non è l’unico a farlo, ma ha uno stile e una garbata educazione che in un Toscano sono difficili da trovare ma quando si uniscono alla nostra inventiva e passione hanno un effetto incredibile sulle persone che ruotano attorno.
Per questi ragazzi è davvero importante la presenza di associazioni come l’AIS a Londra e durante le lezioni ti accorgi proprio di come cerchino di attingere, da chi è lì a parlare, un sorso di linfa italiana.
Da parte mia, cerco invece sempre di ricordargli e fargli capire che per moltissimi di noi sommelier la loro posizione è quasi una terra promessa e un eden di sogni irrealizzabili in Italia; che la loro presenza è importante e fondamentale per tutto il sistema del Made in Italy gastronomico a Londra e nel mondo.
Mi guardano un pò basiti ma in fondo credo si sentano a metà tra il responsabilizzati e il gratificati e soprattutto spero si rendano conto che ogni sforzo che fanno nel conoscere e far conoscere i nostri vini è un grandissimo servizio che rendono al nostro paese.
Leggendo mi pare di aver raccontato solo di italiani qui in terra d’Albione ma soprattutto nel settore ristorazione la superiorità e la completezza dell’offerta londinese si basa piuttosto su uno straordinario mix di internazionalità e professionalità di alto livello che credo proprio non abbiano uguali al mondo e di cui, anche solo per un pò, mi sembra quasi di aver immeritatamente fatto parte…

London Bar Show 2008: un sommelier alla deriva

Mattinata impegnativa ieri con la visita “obbligata” ad uno degli eventi più interessanti e completi per chi si occupa di bar e intrattenimento in genere in UK. E soprattutto una grandissima opportunità (gratuita per gli operatori) di assaggiare centinaia di spirits e distillati da tutto il mondo e sperimentare cocktail e formule innovative per i propri clienti.

Nel gigantesco Earl’s Court (one) trova spazio un roboante show continuo che appena entri ti pare di essere nel pieno di un rave party piuttosto che una fiera. Vocalist e speaker annunciano le novità negli stand e luci e musica ogni dove ti bombardano letteralmente e se si è abituati alle sobrie atmosfere delle fiere del vino, qui si è davvero un pò storditi nei primi minuti. E ovviamente qui non ci sono verdi colline e terroir incantevoli e bellissimi chateau da mostrare e si sopperisce alla vecchia maniera ovvero, bando ai proclami di nuovo ruolo della donna nella società, qui pare di essere al motor show tante sono le procaci signore pochissimo vestite che ti servono da bere. No, non ho sbagliato padiglione, questo è davvero il Bar Show  e se sfogliate l’album vi assicuro che ci ho provato a fotografare gli stand senza fanciulle ma era davvero un’impresa!

Parto subito andando a vedermi una esibizione all’interno del Flair Competion (barman acrobatici per neofiti), categoria sempre bistrattata dai Barman “seri” ma che obbiettivamente richiama sempre molto pubblico tant’è che mi tocca pure fare la fila per entrare. E mentre sono dentro non posso fare a meno di pensare che i nostri concorsi da sommelier sono veramente una noia mortale se paragonate a qualcosa come questo:

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Tutti che ballano e che assaggiano cocktail e drink, ma la parola d’ordine, almeno in teoria, è attenzione alla salute e quindi ecco spuntare un’assurditò come Alibi, una bevanda PRE-TOX ovvero che se la bevi dopo gli effetti di ciò che assumi (alcol e presumo pure droghe varie) sono più leggeri: secondo me siamo al limite della denuncia ma qui passa per bevanda salutista.

E meno male che ci siamo pre-toxicizzati perchè usciti dal padiglione flair ecco che partiamo subito con l’ennesima bevanda energetica stile RedBull con dovizia di donne e musica, ma oggettivamente davvero inutile (ma vi lascio immaginare la calca intorno allo stand).

L’altra parola d’ordine, oltre a detox e salute, è ovviamente natura e ritorno ai sapori originali della frutta e persino della Cola. Ecco che la Pepsi presenta Pepsi Raw ovvero una Cola con ingredienti solo naturali, effettivamente diversa, meno zuccherosa e davvero buona.  Grandissimo lo spazio dedicato al Rhum (anzi Rum all’inglese dalle Barbados) con una spiaggia artificiale ricreata dalla Mahiki(nuovo brand ultracool intravisto anche da Selfridges ieri l’altro) e altre proposte di ogni colore. Sempre sul filone “natural”ecco una sezione dedicati ai Sidro (pera, mela, frutta varia) con proposte irlandesi, inglesi e un buonissimo sidro di Pera svedese, Kloppenberg.

Ma il distillato più venduto in Inghilterra nonostante la storia del Gin e il boom recente del Rum è sempre la Vodka, declinata in ogni variante possibile e immaginabile. Immancabile quindi la Vodka “per signore” però presentata da due tipe in Guepiere di Agent Provocateur, aromatizzata grazie all’aiuto di fantomatici “wine champions tasters” (sarà stato Robbie Parker?!?)  che hanno selezionato le essenze migliori per dare a questa vodka i profumi più suadenti. Sarà, ma  a pare solo l’ennesima furbata, in ogni caso, bella bottiglia…

Invece molto più interessanti le Vodka nel padiglione ghiacciato come l’inglese Tyrrels a base di patate, molto dolce e delicata, e la mia personale favorita del giorno ovvero la svedese Cape North, absolutamente un’altra cosa rispetto ad altre vodka svedesi provate finora.

Pure grandissima la “vodka  del bisonte”, ovvero la polacca (altra patria storica di questo distillato) Zubrowka aromatizzata con un filo d’erba delle pianura (precisamente Hierochloe odorata).

Altro grande padiglione quello dedicato alla Tequila e direi finalmente riesco a farmi una cultura di stili e lavorazioni, potendo confrontare tre tra i marchi più famosi e diffusi al mondo ovvero la Sauza e la Josè Cuervo, che probabilmente abbiamo usato tutti per i nostri Tequila Boom Boom liceali, mentre sarà stato difficile usare la Patron Platinum, 250 sterline di purezza Azul con un profumo e soprattutto un gusto che ti ridefiniscono l’idea della tequila solforosa per sempre. E anche la “blasfema” tequila aromatizzata al caffè (sorta di Kalhua di lusso) non era niente male, davvero una grande batteria di prodotti.

Altre scoperte interessanti che potete vedere  nell’album su Flickr, le birre dal tutto il mondo come la Cobra Indiana e la birra peruviana, oltre al solito diluvio di birre messicane.

Curiosa la (italianissima) Sambuca alla liquirizia Opal Nera ,“ovviamente” offerta dall’immancabile biondina davanti ad un letto di seta nera, un filino inquietante oserei dire (pare uno da film horror dove vieni splatteralmente accettato dal mostro di turno).

Accanto trova spazio un gelato al Fra Angelico che rivela ancora una volta che i nostri distillati e liquori sono davvero tantissimi e ovunque nel mondo. Ancora accanto un ottimo Bourbon  Kentucky Bison Trail con un Single Barrel Eagle Rare all’altezza del miglior Jack Daniels.

Padiglione a parte per i Sakè, di grandissima moda e oggetto di una riscoperta continua (pure Alder ci da dentro parecchio ultimamente). Da prodotti con riso raffinato e pulito al 19% della massa originaria (una follia pura) fino a prodotti non raffinati ma affinati 3 anni in barrique, c’è veramente un mondo da scoprire e una gamma ampissima che assaggio molto volentieri. E aggiorno anche la mia cultura su distillati giapponesi ShoChu, in pratica dei distillati  di sakè ma anche di qualsiasi liquido vegetale zuccherino nel sol levante. Esperienza più interessante che indimenticabile ma siamo qui e si prova almeno un goccio di tutto.

E trascurando per un pò gli spirits presenti, la mia anima di ex deejay gioisce grazie ai bellissimi stand dedicati a musica e luci come quello della Martin Audio and Video e decine di altri dedicati alle sculture di luce con cui si possono arredare i moderni bar londinesi e non solo. Grande presenza italiana per il settore food con cucine e forni capaci di sfornare pizze e pasta (buona persino!) in tre minuti, ovviamente prese d’assalto. Versante vino un pò scarno, ma almeno conosco un ottimo Iswithi Pinotage dalla Imbuko Wines, parte della International Brands,  proveniente da Paarl (Sudafrica), vino rosso dolce adattissimo a cucine speziate e complicate (per la teoria attuale dell’abbinamento cibo vino) come quella indiana o africana. E’ un jolly che vedrò di giocarmi in qualche concorso prossimamente.

Altri interessanti incontri quelli con Simon Difford, autore della prestigiosa e usatissima DiffordGuide ai cocktail e pure di un sito web strepitoso che me ne firma una copia e un sigaraio cubano che arrotolano Romeo Y Juleta direttamente allo stand.

Grandissimo piacere poi grazie al dinamico Andrea Rinaldi, incontrare e parlare con le decine di Barman e Barlady italiane che lavorano in Inghilterra (se ti ricordi i nomi, andrea mandameli!) e che oggi sono praticamente tutti qui ad aggiornarsi. Un mondo che ho cominciato ad apprezzare con Andrea Balleri di Monsummano Terme (Grotta Giusti) ma che non finisce mai di incuriosirmi.

Da sommelier ovviamente mi pare tutto un pò fuori scala e con note un pò troppo sopra le righe ma obbiettivamente, al di là della tecnica e della cultura degli operatori del settore, siamo in un campo molto più strettamente legato all’entertainment piuttosto che alla sublimazione del gusto di una bevanda in sè.

E un evento come il Bar Show tende a far emergere l’aspetto più cool e trendy di questo mondo. Ma devo anche dire che una cultura simile in campo di spirits e bevande alcooliche NON vino è difficile da assimilare se non si frequentano anche questo tipo di ambienti. E oltretutto in serata avevo proprio in programma con i miei allievi londinesi, la lezione sui distillati che si è decisamente arricchita di contenuti nuovi e aggiornatissimi.

London: vodka distillata 15 volte e lo Cheval Blanc by the glass, come si vendono 25.000 euro di vino in mezz’ora

Londra e i suoi alberghi non valgono come connettivita’ Amsterdam, quindi le mie segnalazioni sono un pochino piu’ sporadiche e, fino a stasera, pure senza foto ma vi assicuro che nella capitale mondiale della ristorazione le cose non stanno ferme due secondi. Sbarco alle 12 a Stansted in mezzo al glorioso nulla della periferia Londinese (ovvero mezza Inghilterra) e appena scendo dallo Stansted Express ecco che finalmente incontro il mitico Cetriolo di Norman Foster , secondo me un piccolo capolavoro moderno (ci lavorava persino Russel Crowe in “A good year” prima di trasferirsi in Provenza a fare Bandol…).

Giusto il tempo di arrivare nel Jolly Hotel St Ermins (accanto alla mitica New Scotland Yard, ma Dylan Dog non si e’ ancora visto) che il dinamico delegato AIS per l’Inghilterra mi preleva per iniziare un bel tour di assaggi e labelshopping. Per “Labelshopping” si intende l’attivita’ preferita dai sommelier poco danarosi ovvero passare ORE davanti agli scaffali delle enoteche del mondo contemplando etichette e immaginando gusti e profumi che ALTRI fortunati si possono permettere. Ieri per esempio ho avuto uno stendhal etilico di fronte alla vetrina dei Fine Wines a Selfridges del caro Gabriele Rappo, con una batteria di Bordeaux da far paura (TUTTI i Premiere Grand Cru, moltissimi supersecond), Romanée Conti (tutta la serie 2005!) e diversi super americani di Parkeriana invenzione come lo Scarecrow e lo Screaming Eagle.

Prima di ieri, solo da Pinchiorri avevo visto uno spettacolo simile. Sempre tra i fine wines, per fortuna ci sono anche parecchi italiani, precisamente Soldera Case Basse 1996, Tignanello, Solaia, Ornellaia (1998, ancora MLA) e Sassicaia (95,97 e 88 “in saldo” a 350 sterline). Poi Redigaffi e un (a me) sconosciutissimo Miani dal Veneto. Di Piemonte solo Gaja e qui immagino la sollevazione popolare dei Barolisti piu’ convinti… Sconvolgente presenza di distillati di livello assoluto come la vodka Kaufmann distillata “n” volte e dalla bottiglia preziosissima. E pensare che è tedesca! Stupenda anche la bottiglia in Baccarat scuro di Louis XIII ma mi mancavano circa 2450 delle 2500 sterline che ci volevano per comprarla. Comunque sempre piu’ economica del Johhnie Walker da 5000 sterline (invecchiato 55 anni) che sinceramente non sapevo neanche esistesse.
Neanche il tempo di chiedermi ma chi cavolo se le compra queste bottiglie che un tipo normalissimo dai tratti un po’ indiani compra 12 Dom Perignon 1999 e “un paio” di Krug Clos D’Ambonnay senza battere ciglio e mezz’ora dopo ecco che se ne vanno 18.000 euro di Romanée Conti 2005. Mi rassicurano dicendo che non tutti i pomeriggi va cosi’ bene pero’ vedere vendere in mezz’ora quanto per ora ho venduto in 6 anni è un minimo umiliante…
Nel resto del Wonder Bar per fortuna si mangia e si beve benissimo (grazie a 6 Enomatic in serie, compresa una con uno Cheval Blanc 99 a 60 sterline al bicchiere) con una selezione impressionante di etichette da tutto il mondo con Francia, Australia Nuova Zelanda e Italia a farla da padrone. Un pizzico di Germania e Austria e la curiosita’ di una bottiglia a settimana bendata da provare, per i clienti. Descrizioni sul piccolo libro-carta dei vini simpatiche e a volte discutibili (Che ve ne pare dell’Amarone descritto come “WoW! Super sexy charming wine”?).

Ci sono pure dei Bacchus inglesi e spumanti Chapel Down, davvero niente male (per essere english wines).

Pranzo o merenda ottimo e abbondate al sushi bar di Selfridges con una infilzata di piattini impressionante di cui Andrea Rinaldi ed io andiamo molto fieri…

La sera dopo una lezione piacevolissima sulla Birra con i miei oltre 40 allievi sommelier londinesi (stupenda la magnum di Chimay etichetta blu che ci siamo bevuti alla fine e grande pure la Menabrea “imported”), Andrea Rinaldi mi scarrozza nella Kensington di Vale Rossi e altri facoltosi sportivi, di fianco alla mitica Royal Albert Hall per farmi gustare una delle migliori cucine indiane del mondo, addirittura la prima a fregiarsi di una stella Michelin, ovvero da Zaica, fondato da Claudio Pulze e Raj Sharma nel “lontano” 1999.

Senza foto (che arriveranno) e’ difficile commentarvi adeguatamente il menu ma intanto vi dico che era davvero tutto ottimo, particolare senza strafare con punte di genio come il gelato di pomodoro speziato su risotto indiano ai funghi. Ma davvero tutto il menu era ottimo e squisita l’ospitalita’ di SANJAY DWIVEDI.
Davvero di classe la sua presenza al tavolo e le sue spiegazioni ma mi immagino cosa si saranno detti con Mick Jagger in tour con i Rolling Stones (e’ stato loro cuoco ufficiale nel Brides of Babylon tour)…
Ottimi i vini in abbinamento (a parte il Mumm come champagne d’apertura un po’ “normale”) perfetti gli altri abbinamenti con un Cerasuolo di Vittoria Planeta detanninizzato perfetto sul piccante di alcune preparazioni e un insospettato Late Harvest cilendo sul foie gras gratinato su crostino indiano. Grandissimo anche un Chateau Kefraya (Libano) rose’ sulla Cernia marinata.

Nella carta dei vini, a parte la solita presenza francese, si staglia grandissimo un Breg di Josko Gravner che difficilmente vedrei abbinato meglio che ad uno di questi particolarissimi piatti indiani in salsa moderna.
Non proprio leggerissimo, salgo sul taxi e me ne vado a dormire che tra fusi orari e distrazioni sono quasi 18 ore che sono in piedi…a stasera per il report dal Barshow (ovviamente pure dopo Italia Francia con tutta la classe di sommelier davanti al megaschermo)!

I Cavalieri Jedi del vino a Montecatini: David Gleave e il Terroir tasting

Per un Master of Wine il concetto di Terroir è un pò come la Forza in Star Wars ovvero un sottile fluido che attraverso la terra arriva e permane nel vino e ogni tentativo di degustazione e di creazione del vino è riconducibile a leggere e far ritrovare in un bicchiere il concetto appunto di terroir. Terroir che è, nelle parole appunto di David Gleave, fondatore di Liberty Wine,  udite giovedì 12 e venerdì 13 (alla faccia delle superstizioni) al Croce di Malta a Montecatini, “Soil, Climate, Aspect, Luminosity, Ventillation, Diurnal variation, Grape variety” ma anche il modo con cui l’uomo interviene su questo ovvero “Temperature, Cuvaison, Oak, Cleanliness, Bottling“. Da questo “statement” abbiamo discusso per un pò su come da questo assioma si possono derivare la quasi totalità degli aspetti che caratterizzano un vino e la sua descrizione. Si può essere più o meno d’accordo su questa vision ma vi assicuro che ieri, soprattutto attraverso le numerose degustazioni alla cieca effettuate (qui tutte le foto dei vini) il concetto è risultato davvero chiaro, anzi “bright” (cristallino?) .

Molto interessante anche l’illustrazione della scheda di degustazione dei “master” con alcune voci da noi poco considerate come la stima del prezzo, il carattere dell’acidità e la valutazione della qualità del tannino, davvero utile.

Ieri con Cristiano Cini, vicecampione nazionale, altri sommelier e membri della GEN nazionale (tra cui Antonello Maietta)  e delegati da tutta Italia (Isole e Sud Italia compresi), abbiamo affrontato la degustazione bendata di una serie di vini che differivano praticamente solo per il terroir appunto, a parità di pratica enologica e vitigno. E così ci siamo trovati davanti a due Sauvignon Blanc, uno NeoZelandese della Delta Wines,  e uno del nostro Collio, ovvero quello di Sgubin e le note di profumi e le sensazioni “on the palate” non potevano essere più diverse. Però, wow, ero riuscito a beccarli entrambi come provenienza, addirittura indicando proprio Collio per l’Italiano e Marlborough per il neozelandese.

Stesso discorso per il confronto sul Syrah, stavolta Australia Adelaide Hills Shaw Smith “contro” il nostro illustre Cortona Tenimenti d’Alessandro Il Bosco. Anche qui,  a dispetto dei pregiudizi (miei compresi!) che vedono gli Australiani densi marmellatosi e carichi vengono sfatati da un croccantissimo e fresco syrah (anzi Shiraz) pepato bianco con un colore incantevole e un palato delicato e fresco, davvero accattivante. Al cospetto di questo Australiano, il pur notevole “Il Bosco” arrancava un pò e pareva l’australiano di turno…tant’è che quasi nessuno lo aveva votato come Italiano o europeo. (Ovviamente io avevo votato il primo come Syrah sudamericano e il secondo come un Barossa Valley).

Ultima degustazione della mattinata e tocca a due blend a maggioranza Cabernet con Chasse Spleen 2003 contro (di nuovo) Australia, un interessantissimo Culeen Diana Madelein 2004 che ha surclassato l’illustre bordolese con una eleganza di frutto e spezia quasi inaudite (per me) in un vino australiano a base cabernet. Certo che la Margaret River è ben poco conosciuta ma merita davvero di essere ri-scoperta da molti IMHO. Io avevo optato per un Cabernet Sangiovese sullo Chasse Spleen (tipo Tignanello per dirla tutta) e per un blend bordolese cileno per il primo (stile Don Melchor di Concha y Toro).

Altre prove nel pomeriggio, ancora più interesanti con 3 “Chards” immediatamente riconosciuti come tali dalla platea ma quando siamo andati a cercare di individuare i terroir di provenienza…sul Cote de Beaune quasi tutti sicuri di essere nel Nuovo Mondo, un sacco di Chablis per il Sanct Valentin (l’unico che invece ho riconosciuto al volo come altoatesino) e ancora Francia per il notevole HellFire Bay Australiano. Insomma, vatti a fidare di un “innocuo” Chardonnay!

Gran finale con la chimera di ogni terroirista che si rispetti ovvero il Pinot Noir, la morte nera di ogni degustatore sedicente esperto, che ha messo affiancati Alto Adige, Martinborough e Borgogna.  E qui nonostante abbia da poco finito di bere 50 Pinot Neri altoatesini e neanche un mese fa proprio sua maestà Ata Rangi (ma il 2002) ecco che riesco a riconoscere solo lo Chambolle Musigny 2006 di Boisset mentre sparo su California per il Mazzon di Gottardi e un bel Chambertin Premier Cru per il neozelandese. Imparo quindi che il profumo tipico della spezia altoatesina è davvero riconoscibile e che la felce di sottobosco è tipica dei Pinot Noir della Nuova Zelanda (del resto basterebbe guardare la maglietta degli All Blacks!). Su Chambolle Musigny mi ha aiutato una recente degu dalla Heres che ne aveva portato alcuni campioni a Prato ma direi che su Pinot Neri così giovani non è mai facile indovinare la provenienza.

Conclusione di giornata consolante sulle parole di David che ci assicura che il riconoscimento alla cieca di un vino è “based on luck more than skill” e che in realtà per professionisti come i Master of Wine (e anche direi i sommelier) è molto più importante sape attribuire un prezzo ai vini piuttosto che dire di che vino si tratti.

Complimenti all’AIS per la bella e interessante iniziativa e per avermi invitato, e a Roberto Bellini per l’ospitalità in quel di Montecatini, sempre di alto livello.

A quando la prossima? mi devo rifare subito, quel Sangiovese nello Chasse Spleen grida vendetta!!!

Ore 19 Apple Keynote: da oggi l’Italia entra nella fase 2.0?

Grazie agli amici di The Apple Lounge oggi dalle 19 potremo seguire insieme in diretta liveblogging uno dei leggendari keynote di Steve Jobs e quello di stasera dovrebbe contenere la notizia che tutti stavamo aspettando ovvero l’ufficializzazione del lancio dell’Iphone pure in Italia e direttamente con il modello 3G ovvero UMTS. Ho parlato talmente tanto dell’IPhone e mi sono tanto prestato in questa operazione di product placement (ufficialmente nel mondo food and wine ce lo abbiamo e lo usiamo profesisonalmente “solo” in tre persone, ovvero Bonilli, Cavoletto e il sottoscritto…) che vi chiederete come mai tanto entusiasmo verso questo oggetto.

In questa fase si può spararla grossa ed ecco che vi dico che secondo me per quanto riguarda l’Italia l’avvento dell’IPhone (e dei suoi cloni) permetteranno FINALMENTE il decollo di tante applicazioni web che fanno fatica nel nostro paese a causa del drammatico ritardo nell’uso di Internet nella nostra economia e nella nostra vita sociale. E dato che invece la nostra vita sociale è ormai incentrata sul cellulare ecco che per convincere e far utilizzare la rete agli italiani il telefonino resta l’unica possibilità.

E di telefonini così rivoluzionari, caldi, pratici e capaci di appassionare allo stesso modo il geek, il fighetto da discoteca, la posh girl, il manager e la casalinga di Voghera non ne sono mai esistiti. Un oggetto che rende semplici intuitive e comode una quantità enormi di funzione che finora siamo stati impossibilitati a svolgere con un telefonino perchè qualche genio del marketing pensava che avremmo passato tutto il giorno a mandarci MMS e a vedere i film sul telefonino pagando centinaia di euro per servizi informativi a dir poco ridicoli su vetusti “portali” quando invece altrove il web cresceva e si potenziava di contenuti ogni momento.

IPhone è importante perchè dimostrerà che la gente è disposta a pagare per essere sempre connesso alla rete e utilizzarla in ogni momento e soprattutto perfino a pagare per servizi efficienti e utili erogati direttamente sul telefono.

Se ancora non l’avete provato e vi pare dunque esagerato quanto sto dicendo, passate da me a provarlo oppure accantonate per un pò i vostri Nokia, Samsung, LG e Sony e fateci almeno un giro.

Però dato che non sono nè Andrea Beggi, nè Mantellini nè ho la pretesa di essere un guru delle telecomunicazioni, potete pure prendere queste mie previsioni come farneticazionie basta…tanto ci perdo poco!

————-Aggiornamento ore 22:45————————————-

L’Italia avrà perso pure 3-0 ma dal 11 luglio abbiamo l’Iphone (con una serie di funzioni e caratteristiche che fanno arrossire il mio povero IPhone GPRS)…chi ha voglia di festeggiare?

http://www.apple.com/it/iphone

Furbo come una (Coda di) Volpe: 10-12 Giugno a Battipaglia con Luciano Pignataro

Luciano me ne ha parlato a San Patrignano lo scorso weekend e anche la bravissima collega Giulia Cannada Bartoli delle Officine Gourmet mi ha fatto partecipe del grande lavoro organizzativo che sta dietro a questo piccolo grande Festival del Vino del Sud a Battipaglia (SA) che si terrà dal 10 al 12 Giugno prossimi, il Coda di Volpe Wine Festival. Il progetto è senza dubbio ambizioso in quanto non solo si celebra la Coda di Volpe, tra i vitigni più negletti d’Italia, spesso purtroppo persino nella sua terra, la Campania dove le superstar Greco, Fiano e Falanghina fanno il vuoto nelle vendite dei bianchi ma anche molte doc del sud e molti piatti tipici locali. Il vitigno Coda di Volpe ha una storia illustre e antica (grazie Lavinium) che si mescola alla fama secolare del Falerno e oggi entra in uvaggio in vini campani famosissimi. Citato già da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, oggi è vinificato in molte sfumature di gusto e personalità, decisamente da scoprire. Per non parlare poi della particolarità Vesuviana del Lacryma Christi DOC dove la Coda di Volpe è predominante.

Oltre a degustazioni e verticali, segnalo anche un bel lavoro di proposte di abbinamento con ricette del territorio e una serie di eventi collaterali, tra cui alcune serate alla Città del Gusto Di Napoli del Gambero Rosso.

Sarà possibile seguire l’evento su Sky (ogni sera diretta televisiva dalle 21 alle 23 sul canale Sky 849 con esperti, sommelier, produttori, giornalisti e grandi chef) e sul blog dell’Ais Napoli, curato dall’amico Tommaso Luongo, Delegato AIS Napoli.

Per tutte le informazioni, ovvio riferimento praticamente istituzionale, il sito di Luciano Pignataro (non chiamatelo blog! :-))

Anzi già che ci sono vi faccio spiegare da lui come mai non si possono commentare i post sul suo cliccatissimo sito…

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Luciano Pignataro e i No Comment sul sito…
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Il futuro della didattica della Sommellerie, courtesy of YouTube, oppure il futuro del cinema?

Ok, forse l’ho sparata un pò grossa ma oggi pomeriggio non mi sono praticamente fermato un secondo dopo aver letto su Geekissimo che YouTube aveva aggiunto (finalmente) la possibilità di aggiungere note, sottotitoli e link direttamente sui video postati sulla piattaforma. Ovviamente le implicazioni più interessanti e cash friendly sono quelle pubblicitarie e già si sprecano in rete i primi tentativi di utilizzo commerciale di questa feature che si preannuncia rivoluzionaria (anzi diciamo pure che da oggi la Tv commerciale ha cominciato a morire per come la conosciamo e se avrà un futuro lo avrà solo in questo modo, mi dispiace solo per gli spot di Spike Lee).

Essendo però filantropicamente poco interessato ai soldi ma molto interessato a diffondere la sommelierie e l’apprezzamento del vino in lungo e in largo, mi sono provato a fare un esperimento sul filmato di Aldo Sohm e la sua decantazione di Petrus 1982 durante gli ultimi mondiali. Le riprese non saranno granchè (le ha fatte Davide Merlini dell’Hostaria dell’Orso, io avevo il braccio anchilosato dopo 1 ora di riprese) però rendono l’idea di cosa può venire fuori per un video didattico AIS o di chiunque voglia trasmettere pillole di conoscenza enoiche (e non solo).

Cliccate qui per dare un’occhiata al video (nell’embed, per ora, le annotations non rimangono sembra).

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Aldo Sohm Annotations
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Domani ci ripenso ancora un pò ma immagino che sia questione di ORE prima che qualcuno tiri fuori un film interattivo usando le annotations. Come?

Date un’occhiata a questo post del GURU Tiziano Fogliata e al video che lo accompagna. Sono l’unico che pensa alla materializzazione di un sogno interattivo multimediale??? La classica biondina da film horror che scappa dal solito mostro che porta deve prendere? Dove andrà a finire con l’uscita di destra? O forse nell’inquadratura precedente non ha visto su una parete una manovella da tirare per aprire un passaggio segreto? Magari ci torno sopra con il mouse…

Oppure si potrebbe girare un bel gioco a quiz a scelta multipla visuale…un’avventura stile laser game (mamma mia come sono vecchio…)… O forse, come credo, qualcosa di completamente diverso?

Insomma, rifacciamo Dragon’s Lair?!?