A forza di beccarmi rimbrotti per non bere abbastanza vino calabrese, ho deciso di colmare la grossa lacuna sui vini di Ceraudo e in una serata abbiamo fatto un assaggio dei bianchi e rosati della casa. Da dire innanzitutto la perfetto I vini di Ceraudo non sono come te li aspetti, e del resto anche i prezzi non sono i soliti. In senso assoluto sono tra i migliori rapporti qualità prezzo d’Italia ma vengono dalla Calabria e quindi almeno all’inizio fai un pò fatica a spendere 17 euro per un rosato e 18 per un bianco da Chardonnay. Anzi diciamo che sulla carta il perchè non lo si può proprio capire. Però poi in tavola…
Ad esempio dei tre bianchi non saprei quale scegliere. Avevo appena finito di dire che non mi piacciono gli Chardonnay sotto il 45esimo paralleo e mi ritrovo con questo Ymir agrumato candito ma mai dolce, sapidissimo e tagliente, molto umami che senza stancare mai te ne fa bere una bottiglia quasi da solo.
Poi questo Pecorello (Grisara), dal naso fresco di tiglio e ginestra ma dal corpo deciso e avvolgente di pesca oppure questo blend (Petelia) azzeccatissimo di Mantonico, Chardonnay e Greco che ti fa pensare ad una malvasia tanto è intenso penetrante e floreale.
Sui rosati (Grayausi etichetta argento ed etichetta rame ) poche parole e le poche che si possono dire dovrebbero essere di elogio infinito per un rosato che sfida il legno e ne esce agrumato, speziato e delicato come pochi altri, un gaglioppo sublimato che riempie ogni lato del palato con fragola, lampone e che ha una persistenza rara. Davvero incredibile l’etichetta argento, decisamente buono il “rame”.
A questo punto i rossi paiono quasi in retroguardia ma il Dattilo, ovvero il Cirò di casa in pratica, è il Cirò che potrebbe essere, e senza il Cabernet. Ovvero quasi un Mourvèdre più deciso, ricco di profondità e di fruttato maturo incastonato in una trama speziata e pepata davvero di altri lidi. Il Petraro è chiamato a confrontarsi con un mostro sacro come il Gravello di Librandi e anche qui dice la sua, magari lasciando un pò troppo spazio al Cabernet che almeno in questa fase (ho assaggiato un 2005)
Forse potremmo spiegare la magia di questi vini con la biodinamica ma ormai non fa notizia. Fa notizia invece che questi vini calabresi possono rappresentare il futuro di una regione ampiamente sottoutilizzata e che non assolutamente (ancora) mostrato il proprio potenziale, e non solo in campo vitivinicolo.
Librandi, Lento, Statti, e anche Ceraudo, ci si può perlomeno provare!