Può succedere, effettivamente più facile a Londra che a Quaracchi, che due hedge fund da 800 milioni di sterline decidano di spendere due briciole (comunque 3 milioni dei suddetti) per aprire un ristorante, magari sotto i propri dilatati uffici in Liverpool Street in piena City.
LA City è l’anima dell’Inghilterra odierna, che qualcuno ha definito appunto come un gigantesco Hedge Fund mondiale più che un paese vero e proprio.
Passeggiando la sera tra Caxton street, passando sotto il Ghurken e slogandosi il collo per seguire la verticalità inaudita di questi palazzi e il continuo cozzare di diagonali e frecce d’acciaio (ma il feng shui qui nessuno sa cos’è?) non penseresti proprio che sia il posto ideale per metter su un Ristorante Italiano, per di più dall’altisonante nome L’Anima . E che aspira a diventare l’anima latina gastronomica in mezzo a tanto freddo e tintinnar di denari.
Ma tutta Londra pullula un pò ovunque di iniziative italiane degne di nota e che secondo me pure riescono davvero a trasmettere un pò di dolce vita in queste zone. Vedere per credere l‘Obika in pieno SelfRidges: ci credereste che qua potete ordinare un panino con la Mortadella di Prato? Roba quasi impossibile persino direttamente in Toscana! E invece questo “Mozzarella Bar” funziona davvero bene…
L’altra sera, finita Italia- Francia nel migliore dei modi possibili (veder vincere la tua nazionale mentre sei all’estero è un piacere atavico e indescrivibile, forse pure provincialotto ma sublime) e abbracciati i festanti allievi del Primo Livello AIS Londra al Jolly Hotel (altra bandiera italiana ammainata, ora è tutto di proprietà spagnola NH), con Andrea Rinaldi e la graditissima sorpresa di Luca Boschian, illustre e celebre collega sommelier dallo Zafferano , decidiamo che se dobbiamo brindare alla nostra Italia dobbiamo appunto farlo nell’avamposto più ambizioso che la nostra cucina ha piazzato nel mercato della ristorazione globale, L’Anima, appunto.
Piccola nota su Luca Boschian: sono stato davvero al settimo cielo nel ricevere da lui i complimenti per la lezione sui distillati, non credevo proprio di risucire ad insegnare qualcosa a questi ragazzi che già lavorano nei più esclusivi bar e ristoranti della città. Oltretutto una persona della sua esperienza e umanità ti fa capire davvero che nella professione di sommelier spesso le chiacchere stanno a zero e quello che veramente conta è l’anima e la passione, in generale tutta l’umanità che riesci a metterci dentro. Leggete la bella intervista che Ziliani gli ha fatto qualche tempo fa sul sito AIS.
Eppoi da piccolo sommelier di provincia ad ascoltare i suoi racconti di Abramovich e Shevchenko alle prese con il Ronco delle Mele di Venica e i Vermentini della Liguria e le bottiglie da 20mila sterline che apre quasi ogni giorno (qualcuna pure “falsa”, ricordate il Petrus 1961 rifiutato?) fa sempre un magnetico effetto.
Scusate l’inciso, torniamo nell’anima del post. L’ambiente è di quelli ultra COOL e del resto da Claudio Silvestrin, già architetto poliedrico e interior designer per Armani, non ci saremmo aspettati niente di banale. Francesco Mazzei è un cuoco di origine calabrese (Cosenza) che ha girato l’Italia prima e l’Inghilterra poi sempre con l’idea fissa in mente che la cucina italiana non doveva e non deve assolutamente essere considerata grande per quanto riesce a scimmiottare e a farsi simile alla francese o spagnola di turno. Crede nelle materie prime e crede nella semplicità dei piatti e non dà molta importanza alle costruzioni immaginifiche nell’impiattamento. Nell’anima ha disegnato di persona gli oltre 100 mq di cucina con ogni sorta di apparecchiatura, ovviamente ad esclusione di pacojet e sifonistica assortita ma con un bellissimo forno Jasper spagnolo, diavoleria alla brace chiusa capace di cuocere in 5 minuti una pancetta di maiale in maniera perfetta donandogli profumi e aromi da brace estremizzata.
E oltretutto è pure simpatico e curioso di ogni aspetto della cena dal punto di vista di noi ospiti, che lui continua a definire illustri (e mi giro per vedere di chi sta parlando).
Siamo accolti dallo chef ma anche dalle hostess (nella city è la norma trovare al tuo ingresso almeno due ragazze altissime non proprio spiacevoli a vedersi che ti accomodano in una lounge apposita di attesa a sorseggiare Champagne, ideona mi pare perfettamente replicabile anche da Burde (inviate pure CV e foto).
Barman di eccezione un ragazzo palermitano, campione Aibes dalla cultura sconfinata su distillati e metodi di preparazione dei liquori, davvero un plus graditissimo. Ci prepara un “semplice” aperitivo Champagne, aperol, succo di ciliegie sotto spirito guarnito con una fetta di arancia sbucciata: delicato e persistente, davvero ottimo.
Ci accomodiamo nella sala bianca con marmi bianchi e scuri ma mai freddi con un bianco abbacinante delle tovaglie e delle ceramiche. Se fossi Vuggì noterei pure la cura nella stiratura delle tovaglie e tovaglioli ma ve la risparmio.
Presenza di camerieri e sommelier costante ma mai invasiva, pane fatto in casa di tre tipi (focaccia ligure, pane toscano sciapo e grissini) con tanto di olio da taggiasca per una fettunta veloce (per fortuna il burro da pane è bandito).
Partiamo con una zuppa di cozze e vongole e La Montina Saten che peschiamo da una carta dei vini accorta senza troppe grandeur ma con vini (per lo più ovviamente italiani) di sicuro interesse. Grandissima idea la presenza di due vini calabresi come il Vigna Garrone di Odoardi, ovviamente invendibile ma il giorno che un manager della city lo bevesse per sbaglio, siamo sicuri che la smetterebbe di ordinate il “solito” St Emilion (che qui è il vino di default per la ciccia se il londinese non sa cosa prendere…come da noi il Chianti Classico insomma).
Per primo andiamo su Zitoni Nduja e Melanzane e protestiamo con lo chef calabrese per l’utilizzo troppo parsimonioso dell’amata Nduja ma ovviamente qui il cliente medio scapperebbe anche solo davanti alla piccantezza dell’odore di una vera Nduja di Spilinga.
Per main course provo la pancetta di maiale al forno con purè ed è una scoperta notevole per come bilancia il grasso e il morbido della patata e la croccantezza della pelle arrostita: ottimo pure l’abbinamento con un Niedermayr Pinot Nero 2003 Alto Adige. Prima del dolce, spazio a formaggi per un Chianti Classico che Boschian ci raccomanda e che non conosco (è mai possibile???) ovvero il Doccio di Matteo Riserva Casarsa 1999. Davvero niente male e stupisce come certi vini con 10 anni sulle spalle vengano accettati prontamente qui a Londra mentre in Toscana pure le Riserve 2004 paiono a molti clienti troppo stagionate…
Un solerte e elegantissimo cameriere croato (ci siamo dati appuntamento nella finale degli Europei discorrendo di Drazen Petrovic, Kucoc e vari eroi sportivi degli anni 90) ci serve un dolce meraviglioso e da applausi un soufflè di mirtilli con meringa spumosa come base e salsa di cassis servito caldo. Abbinamento da urlo con la Ciroc Vodka di uva (ovvero ottenuta da 50% di distillato di cereali e 50% di distillato di vino della zona dell’Armagnac): invece del solito quarzo neutro della vodka classica, questa ha un fruttato di prugna e mirtillo che si sposa alla perfezione con il soufflé regalandoci una chiusura di cena con i fiocchi.
Tour della cantina a giorno e della sala riunioni (trasformata in una curva da stadio con sedie Kartell per la partita della Nazionale) ma che in genere è una piccola caverna di marmo e cascate vere dalla pareti con fiori giapponesi che spuntano dai muri, piccolo capolavoro di design moderno che riesce a non farti rabbrividire.
Si parlava di anima italiana a tavola e di come questi spazi ne abbiano disperatamente bisogno ed è un concetto di cui abbiamo parlato anche a lezione con i ragazzi ovvero del fatto che la differenza nella ristorazione e in genere nel wine ad food non la fanno solo i prodotti italiani ma pure gli italiani che le servono e le presentano dai camerieri agli chef e ai sommelier, sarebbe riduttivo parlare di cucina italiana come se fosse una serie di regole e di ingredienti.
Gli stessi dipendenti qui all’Anima sono incoraggiati e spesati a trascorrere periodi di acclimatazione e formazione in Italia che sarebbe riduttivo paragonare a dei semplici stage. Prendete il nostro solerte e impeccabile sommelier Gal Zohar, israeliano.
Di formazione “francese”, ama ovviamente i vini d’oltralpe e ne vende senza problemi casse intere ma sui vini italiani, per quanto preparatissimo pare sempre un pò titubante a presentarli come se non ne fosse intimamente convinto. Ma se si vuole sperare di vendere vino italiano ai londinesi, Franciacorta al posto di Champagne e bianchi del Collio al posto dei Graves o dei Montrachet è ANCHE da questo tipo di professionisti che occorre partire più che da un italiano preparatissimo nato cresciuto e bevuto dai nostri nettari dai 3 anni. Professionisti che nascono francesi e che vengono piano piano sedotti dai nostri vini e dalle nostre terre. Gal dice che vuole venire in Toscana e Francesco me lo vuole mandare da Burde, e capisco che forse non è al corrente che posto sia la mia trattoria.
L’italianità a tavola è qualcosa di molto più simile ad un modo di essere e di interagire con le persone: qualcosa che rende i nostri ragazzi che ho incontrato in questi due giorni, capaci di imprese e servizi di altissimo livello.
Per molti di loro Andrea Rinaldi è un riferimento importante, non cura solo i corsi per sommelier e nemmeno si limita a fare da agente per molti importatori e aziende vinicole italiane, è come un console o un ufficio del lavoro permanente che lega insieme una serie di aspetti tutti attinenti al concetto di Italian Way of Life a Londra. Ovviamente non è l’unico a farlo, ma ha uno stile e una garbata educazione che in un Toscano sono difficili da trovare ma quando si uniscono alla nostra inventiva e passione hanno un effetto incredibile sulle persone che ruotano attorno.
Per questi ragazzi è davvero importante la presenza di associazioni come l’AIS a Londra e durante le lezioni ti accorgi proprio di come cerchino di attingere, da chi è lì a parlare, un sorso di linfa italiana.
Da parte mia, cerco invece sempre di ricordargli e fargli capire che per moltissimi di noi sommelier la loro posizione è quasi una terra promessa e un eden di sogni irrealizzabili in Italia; che la loro presenza è importante e fondamentale per tutto il sistema del Made in Italy gastronomico a Londra e nel mondo.
Mi guardano un pò basiti ma in fondo credo si sentano a metà tra il responsabilizzati e il gratificati e soprattutto spero si rendano conto che ogni sforzo che fanno nel conoscere e far conoscere i nostri vini è un grandissimo servizio che rendono al nostro paese.
Leggendo mi pare di aver raccontato solo di italiani qui in terra d’Albione ma soprattutto nel settore ristorazione la superiorità e la completezza dell’offerta londinese si basa piuttosto su uno straordinario mix di internazionalità e professionalità di alto livello che credo proprio non abbiano uguali al mondo e di cui, anche solo per un pò, mi sembra quasi di aver immeritatamente fatto parte…
Ahhh…certo che a Quaracchi sarà difficile trovare un ambiente così..fusion..sì ok ma di diverso tipo mi sembra 😛
più leggo queste tue report da londra e più ho il prurito alle mani di fare le valigie e tornarmene a vivere lì..quanto sono stata bene! io ho sempre mangiato abbastanza bene a londra e bevuto anche meglio 😀 devo dire! sono contenta che è tutto così piacevole per te!
Silvia
Scusa se mi quoto, ma riporto quello che avevo detto il 31 gennaio a proposito del tipo di atmosfera che si respira a Londra , della professionalità e anche del tirarsela meno che da noi:
“La mattina seguente appuntamento alle 11.30 con il sommelier del Lindsay House, a Soho. Locale di fascino,una stella Michelin, appartenente ancora alla galassia Richard Corrigan. Per rendere il lavoro piu’ efficace, Didier Cappa ha invitato a degustare i vini anche il sommelier di un ristorante che aprira’ tra qualche settimana con ambizioni elevate, L’Anima. Gia’ questo segnala la differenza di approccio e di professionalita’ e di apertura mentale che c’e’ nel fare questo mestiere a Londra piuttosto che da noi. Il sommelier di un altro ristorante, cioe’ di un concorrente, che si unisce a noi in una degustazione in un altro ristorante senza che ci sia nulla di strano. Altra nota: sono tutti sommeliers giovanissimi, la maggior parte poco piu’ che ventenni, che gestiscono carte vini importanti di ristoranti stellati che fanno centinaia di coperti al giorno? Sarebbe possibile da noi?”
quindi allora hai conosciuto Gal pure tu, giampaolo? proprio un altro mondo, pure per i sommelier!
@silvia, londra sarà bellissima ma per vivere alla grande ci vuole una quantità di soldi inimmaginabile (almeno per me!) 🙂
Beato te Andrea “londinese” . Credo, per mia esperienza, che Londra e altre due o tre città negli States siano il massimo per lavorare nel nostro settore. Sembra quasi che la “carriera” non abbia mai fine. e tutti i giorni sembrano il primo… Concordo con Silvia. A Londra puoi mangiare benissimo, come anche in altri luoghi. la differenza è l’illimitata offerta londinese. Per quanto riguarda il commento del nostro vigneron. Avevo letto il suo post e sono anche stato tentato di rispondere. E verissimo quel che dice, ma è anche vero che molti produttori, non lui, cercano sempre di tenere lontano, come il diavolo e l’acquasanta noi colleghi. Molti apparteniamo, (appartengono, gli altri) a quella razza egocentrista e individualista di sommeliers e ristoratori. Una piccola dose di questi ingredienti e quasi indispensabile, ma non sapranno mai che soddisfazione misurarsi con altre persone, anche solo per il piacere di incontrare chi fà la stessa professione, ma in maniera diversa. E magari, sicuramente imparare sempre qualcosa. Perciò beato te !!. Alla prima occasione però mi darai qualche delucidazione intorno al Jasper…
Stay in touch
@giampaolo concordo con la tua espressione “tirarsela meno” vero e su questo ci puoi giurare..ma non solo nel vostro settore, ma anche nel mio è lo stesso..ho avuto molte offerte di lavoro inglesi con piena disponibilità a insegnare…qui solo corsi a pagamento e stop.
@andrea lo so è molto cara la vita a Londra ma quando lavoravo lì sentivo meno la pressione economica perchè lo stipendio era nettamente superiore ad uno italiano..diciamo è tutto in proporzione 😛
@maurizio effettivamente la chance di mangiare bene in una città come londra ti è data dalla enorme scelta che hai su qualsiasi tipo di cibo tu desideri..e negli anni è andato migliorando sia la scelta sia la qualità. Penso che non si può andare in una città così e fermarsi a macdonald no?
@Silvia: macdonal at London…what else !
@silvia e maurizio: a me pare più da gourmet semmai burger king con i suoi whopper grigliati
@Maurizio. Purtroppo, per noi italiani, qui da noi è quasi sconosciuta l’ammirazione per chi ha successo e per chi fa strada, spesso a costo di sacrfici personali.
Da noi, sic, si preferisce sempre pensare che quello lì non è bravo, ma è fortunato, è raccomandato, ecc.
Liberarsi della schiavitù dell’invidia e poter ammettere che qualcuno occupa una certa posizione perché è bravo e perché se lo merita, è uno dei più grandi piaceri della vita. E’ come rinascere.
Questo succede nella cultura anglosassone, con gli USA agli estremi, e pochissimo da noi.
Chi ragiona così è aperto al confronto con gli altri, perché mette in conto di poter imparare qualcosa da chi è più bravo. Chi pensa in termini di gelosia non si confronta mai con nessuno perché pensa di non averne mai bisogno. Ed in questo ci sta molto dlla differenza di civiltà tra alcune nazioni e la nostra, purtroppo.
@Giampaolo Paglia, scusi il ritardo, ma un lungo fine settimana, con l’aiuto del nostro patrono fiorentino, mi ha tenuto lontano da computer e altre diavolerie.
E veramente difficile mettere insieme piu colleghi intorno al tavolo di uno di noi, per gustare un vino che poi andrà a finire in carta. Come è forse presunzione che grandi aziende propongano un vino nuovo senza “assaggio”, tanto lo facciamo noi… E mi viene in mente quando il venditore di vini in Inghilterra si presentava con i vini “nuovi”, previo appuntamento, conservati a temperatura nella valigietta, per farceli assaggiare. Venti anni fà, altri tempi !!
Gentile Andrea,
devo farti una correzione doverosa: non ti è stato raccomandato il Doccio di Matteo Riserva Casarsa 1999, (immagino un’errore di trascrizione),
ma il vino Chianti Classico “Doccio a Matteo” Riserva – Caparsa – Radda in Chianti