Il 2 maggio era il centodiciannovesimo compleanno di Burde. La nostra trattoria, allora poco più che una alimentari macelleria con qualche piccolo piatto cucinato, aprì infatti il 2 maggio del 1901 anche se Egiziano Barducci avrebbe preferito il 1 maggio come data simbolica. Proprio ieri, nel compleanno più particolare e strano che ci sia mai capitato di festeggiare, ci è arrivata questa lettera di una nostra collaboratrice che ci ha commosso e che vogliamo condividere con voi per aiutare a ricordarci come mai siamo ancora qua, così come tanti altri nostri colleghi di botteghe, ristoranti e trattorie e come mai vogliamo continuare ad esserci…
Sono nata e cresciuta in una bottega. Ogni giorno, per 25 anni in via de’ Bardi, andava in scena lo spettacolo quotidiano del cibo, del servire, dello sfamare, dell’accogliere. La settimana, ogni settimana, era scandita dall’appuntamento fisso con un gesto, un rituale o con la preparazione di un piatto. Poteva essere il giorno in cui arrivava la forma del parmigiano, allora mio padre con attenzione, tecnica e una buona dose di forza la divideva, facendo attenzione che ad occhio e peso risultassero tutte uguali. Poteva essere il giorno dell’arrivo del vino, la parte che preferivo, e allora, dopo scuola, messo il grembiule, mi munivo della prezzatrice, quelle vecchie con la rondella, che stampava come un pizzicotto numeri di forma perfettamente cubica. Così uno ad uno mi muovevo, inconsciamente, fra le bottiglie di vino, ignara che gli avrei dedicato la vita. Mia mamma cucinava, ha sempre cucinato e la parte più bella era sentirla ricevere i complimenti. Era dolcissima quando in un mezzo sorriso ti diceva che “una sua cliente” le aveva fatto i complimenti per una pasta, per un lampredotto gustoso o per il cinghiale in umido straordinariamente buono e leggero che dio mio non resta sullo stomaco! Ricordo benissimo si stringeva nelle spalle e diceva “una mia cliente”; si, una “sua cliente”, perché per 25 anni, i nostri clienti sono state le nostre persone e a fine giornata la loro gioia, la loro fame placata, il loro gusto sedotto e i loro grazie erano il senso di tutto, per me oggi sono il presente e il futuro.
Ma non tutte le storie hanno un lieto fine e spesso, anche se non ne portiamo la colpa, alcune finiscono e rimangono i ricordi e le persone che ancora, in via de’Bardi mi fermano e mi dicono “ma te tu sei la figliola della Betty e di Tiberio della dispensa…” il loro ricordo è per me è gioia. Mi ricorda chi eravamo e chi voglio essere io.
Circa un anno fa sono entrata da Burde.
Era il giorno della francesina, uno dei piatti che in assoluto amo di più. La bottega, così come la sala ristorante era piena di persone. Il menu veniva raccontato a voce ai tavoli con fare disinvolto e quasi scontato, perché insomma dopo 100 anni e più questo è quello che c’è. I camerieri e i clienti si chiamano per nome, molti si sono visti crescere, altri sono invecchiati insieme. Dalla cucina le grida delle cuoche che avvisano che un piatto è pronto, che la bistecca è 1,5 kg e le sento distintamente e a gran voce chiamare i camerieri. Sono grida! Sorrido, perché quelle urla mi ricordano mia nonna che mi urla dal balcone di rientrare, perché la cena è pronta.
C’è un certo presentimento d’amore in tutto ciò.
Non sono abituata a questo tipo di ristorazione, così schietta, alla buona, sfacciatamente rumorosa.
Mi dico che non potrò mai abituarmi.
Un secolo e più che la vostra famiglia siede in quelle stanze. Anni che vi urlate i piatti, anni di Trippa alla fiorentina, di zuppe, di chili e chili di bistecche tagliate, cotte e servite, anni di baccalà il venerdì.
Nove Volte su dieci farei e direi tutto il contrario di quello che fate voi. Nove volte su dieci mi ricordo che io ho imparato a lavorare diversamente da così. Nove volte su dieci mi ricordo che forse la storia viene scritta in questo modo.
Dunque, oggi, vanno a voi i miei più cari auguri. Vanno a voi pensieri e parole che spesso non dico e tengo per me. Ma se c’è una cosa che si impara con il tempo è a distruggere le proprie convinzioni e accettarne di nuove e continuare a farlo sempre e sempre.
Il cambiamento è costante. Ed il modo in cui decidiamo di viverlo dipende da noi. La trattoria da Burde è il cambiamento. Là dove gli altri vedono una vecchia trattoria io ho visto qualcosa di nuovo per me e per le mie idee. Lì sono tornata alla tavola di casa mia con mia nonna, lì sono tornata un po’ in via de’ Bardi, lì imparo sempre di più sul vino.
Non vedo l’ora di riscendere in cantina. Quella cantina che sento un po’ anche mia.
Tanti auguri a voi e al mio nuovo luogo del cuore. Perché forse non era solo un presentimento d’amore.
Per Servirvi.
Irene Forni
[Photo: Simone Macciantelli]