Moliere, Baudelaire, Pablo Neruda ma anche le osterie di Alda Merini letti e interpretati da Gaia Nanni e inframezzati dalla degustazioni tecniche e poetiche di Leonardo Romanelli e il sottoscritto per quaranta minuti di degustazione inconsueta e atipica, un modo di vedere il vino da più punti di vista, artistico, letterario, degustativo e anche godereccio che alla fine per quello si dovrebbe bere, godere con la mente e anche con lo spirito. Ci abbiamo provato, è piaciuto…decisamente.
Per esempio ecco Gaia che legge “gli anfratti bui” di Alda Merini abbinati al Mongrana di Querciabella:
‘A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello di magico pensiero.
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro”.
Alda Merini
Qui invece Gaia ci legge Baudelaire sulle note del Mongrana, il vino maremmano di Querciabella, perfetto per lasciarsi andare, divertirsi, assaporare la vita con le sue note calde e mediterranee di ginepro, mirto, ribes rosso e nero e il finale speziato e ricco, ma anche appena decadente e intriso di cupio dissolvi come si intravede nei versi di Baudelaire…
Bisogna essere sempre ebbri. Tutto sta in questo: è l’unico
problema. Per non sentire l’orribile fardello del tempo che rompe
le vostre spalle e vi inclina verso la terra bisogna che vi ubriacate
senza tregua.
Ma di che? Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro. Ma
ubriacatevi.
E se qualche volta sui gradini d’un palazzo, sull’erba verde d’un
fossato, nella mesta solitudine della vostra camera, vi risvegliate
con l’ubriachezza già diminuita o scomparsa, domandate al vento,
all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio, a tutto ciò che fugge,
a tutto ciò che geme, a tutto ciò che ruota, a tutto ciò che canta, a
tutto ciò che parla, domandate che ora è; e il vento, l’onda, la stella,
l’uccello, l’orologio vi risponderanno: è l’ora di ubriacarsi!
Per non essere gli schiavi martirizzati del tempo, ubriacatevi;
ubriacatevi senza smettere! Di vino, di poesia o di virtù, a piacer
vostro.
Charles Baudelaire
Ecco Gaia alle prese con Molière e il Chianti Classico Querciabella, uno di quei vini da versare “ora e sempre…”
Beviamo amici miei;
il tempo che fugge c’invita,
godiamo della vita
quanto per noi si può.
Varcata che sia l’onda bruna
addio al vino e agli amori.
Affrettiamoci a bere
sempre non si berrà.
Gli sciocchi sentenzino pure
sulla vera felicità:
la nostra filosofia nel bicchier la porrà.
I beni, la gloria, il sapere
non fanno sparire le pene
e sol nella gioia di bere è la felicità.
Su, su, dovunque del vino, giovanetti, versate;
Versate ancora e sempre,
finché basta si dica da noi”.
MOLIERE (1622 – 1673)
Ecco Gaia che ci legge Neruda sulle note del Chianti Classico 2009 di Querciabella, davvero un vino color del giorno ma anche della notte, di ciliegia viva e pulsante, tabacco, liquirizia e finale quasi di mandorla, un vero “cantico del frutto” nel senso che Neruda gli da in questi versi:
Vino color del giorno,
vino color della notte,
vino con piedi di porpora
o sangue di topazio,
vino,
stellato figlio
della terra,
vino, liscio
come una spada d’oro,
morbido
come un disordinato velluto,
vino inchiocciolato
e sospeso,
amoroso,
marino,
non sei mai presente in una sola coppa,
in un canto, in un uomo,
sei corale, gregario,
e, quanto meno, scambievole.
A volte
ti nutri di ricordi
mortali,
sulla tua onda
andiamo di tomba in tomba,
tagliapietre del sepolcro gelato,
e piangiamo
lacrime passeggere,
ma
il tuo bel
vestito di primavera
è diverso,
il cuore monta ai rami,
il vento muove il giorno,
nulla rimane
nella tua anima immobile.
Il vino
muove la primavera,
cresce come una pianta di allegria,
cadono muri,
rocce,
si chiudono gli abissi,
nasce il canto.
Oh, tu, caraffa di vino, nel deserto
con la bella che amo,
disse il vecchio poeta.
Che la brocca di vino
al bacio dell’amore aggiunga il suo bacio
Amor mio, d’improvviso
il tuo fianco
è la curva colma
della coppa
il tuo petto è il grappolo,
la luce dell’alcol la tua chioma,
le uve i tuoi capezzoli,
il tuo ombelico sigillo puro
impresso sul tuo ventre di anfora,
e il tuo amore la cascata
di vino inestinguibile,
la chiarità che cade sui miei sensi,
lo splendore terrestre della vita.
Ma non soltanto amore,
bacio bruciante
e cuore bruciato,
tu sei, vino di vita,
ma
amicizia degli esseri, trasparenza,
coro di disciplina,
abbondanza di fiori.
Amo sulla tavola,
quando si conversa,
la luce di una bottiglia
di intelligente vino.
Lo bevano;
ricordino in ogni
goccia d’oro
o coppa di topazio
o cucchiaio di porpora
che l’autunno lavorò
fino a riempire di vino le anfore,
e impari l’uomo oscuro,
nel cerimoniale del suo lavoro,
e ricordare la terra e i suoi doveri,
a diffondere il cantico del frutto.
Pablo Neruda